Un nuovo studio di Ener2Crowd sulla disuguaglianza ambientale ed economica ha dimostrato che i Paesi poveri inquinano più di quelli ricchi, così come a livello interno di ciascuno Stato —paradossalmente— le persone meno abbienti causano una immissione di gas climalterante esponenzialmente maggiore rispetto a quella prodotta da chi è più facoltoso.
La prima piattaforma italiana di lending crowdfunding ambientale ed energetico ha infatti calcolato l’indice di Gini relativo alla distribuzione delle emissioni di CO2 per fascia di ricchezza, nel nostro Paese e nel mondo, ed è riuscita così a dimostrare che:
IN ITALIA:
il 10% della popolazione che possiede il 54% della ricchezza finanziaria è responsabile del 26% delle emissioni di CO2;
il 40% della popolazione che possiede il 38% della ricchezza finanziaria è responsabile del 41% delle emissioni di CO2;
il 50% della popolazione, possiede l’8,50% della ricchezza finanziaria ed è responsabile del 33% delle emissioni di CO2.
NEL MONDO:
l’1% della popolazione che detiene il 43% della ricchezza finanziaria è responsabile del 15% delle emissioni di CO2;
il 49% della popolazione che detiene il 56% della ricchezza finanziaria è responsabile del 78% delle emissioni di CO2;
il 50% della popolazione che detiene l’1% della ricchezza finanziaria è responsabile del 7% delle emissioni di CO2.
Per quanto possa sembrare strano, l’indice di Gini relativo alla ricchezza finanziaria (compreso tra 0 ed 1, dove il valore più alto tale indica la più marcata la disuguaglianza) ha lo stesso valore in Italia e nel Mondo, ovvero 0,608, rivelando una profonda disuguaglianza conseguenza dello stesso modello economico.
In Italia è invece migliore la situazione che riguarda la disuguaglianza ambientale che è poi strettamente legata alla qualità ecologica dei servizi e dei prodotti oggetto degli scambi economici: mentre nel nostro Paese tale valore è pari a 0,230 nel mondo si attesta a 0,378.
Questo vuol dire che nel nostro Paese la disuguaglianza ambientale ancora non è ai livelli di quella finanziaria, forse in parte per la possibilità, o per la necessità, di vivere una dimensione meno globalizzata e legata magari ad ecosistemi di prossimità.
Ma l’aspetto più sconcertante è emerso applicando il principio di calcolo dell’Intensità Sostenibile di Investimento, ovvero andando a ricercare l’intensità carbonica di tali porzioni di ricchezza.
Ebbene in Italia il 50% più povero possiede una ricchezza che produce 8,2 volte gli impatti ambientali negativi (in termini di emissione di CO2) del 10% più ricco, 3,6 volte quelli del 40% di mezzo e comunque 3,9 volte la media nazionale.
Nel mondo la situazione è ancora peggiore: il 50% più povero possiede una ricchezza che produce 20 volte gli impatti ambientali negativi (in termini di emissione di CO2) dell’1% più ricco, 5 volte quelli del 49% di mezzo e comunque 7 volte la media mondiale.
«Questo vuol dire solo una cosa: non solo le persone più povere sono tali da un punto di vista “monetario”, ma lo sono anche da un punto di vista “ecologico”, potendo accedere a prodotti e servizi dalle qualità ecologiche intrinseche peggiori» spiega Giorgio Mottironi, cso e co-fondatore di Ener2Crowd nonché chief analyst del GreenVestingForum.it, il forum della finanza alternativa verde.
«In Italia —prosegue Mottironi— è ad esempio facile ipotizzare come quel 20% di emissioni di CO2 che importiamo possano essere principalmente legate alle modalità ed abitudini di consumo del 50% più povero».
In pratica, secondo l’analisi di Ener2Crowd, lo stesso modello che produce ricchezza, progresso e beni spirituali per i più ricchi, procura miseria e regresso per i più poveri.
«È un aspetto importante su cui riflettere perché riguarda la nostra cultura: non possiamo aspettare che sia la ricchezza monetaria a redistribuirsi per far sì che le “migliori opportunità di mercato” a cui si può accedere cambino la qualità della nostra vita» aggiunge Mottironi.
«Dobbiamo far sì che un nuovo modello culturale orientato alla sostenibilità retroagisca su quello economico, permettendo a chiunque di godere di una migliore “qualità ecologica”, consci della necessità che i costi di un “premium green” più innovativo siano a carico di chi può effettivamente permetterseli, in attesa che vengano socialmente redistribuiti per favorire il progresso collettivo» conclude il co-fondatore di Ener2Crowd. (Sharing-Media) |