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Sarà presentato il prossimo 28 ottobre alle 19,30 presso l’ipogeo parrocchia dello Spirito Santo di Santo Spirito (Bari) il libro “Otto. L’abisso di Castel del Monte” di Alfredo De Giovanni. La presentazione è stata organizzata dall’associazione “Il lungomare che vorrei”. Questo incontro rientra nell’ambito della rassegna “Le pagine del lungomare”. All’incontro oltre all’autore interverrà Francesca Albanese e la giornalista Daniela D’Ambrosio. Si accede muniti di green pass. Di seguito la nostra recensione del libro.
Dal primo risvolto di copertina si intuiscono, da subito, gli ambiti spazio-temporali in cui si muove il romanzo: cosa nasconde il sottosuolo di Castel del Monte, l’enigmatico maniero di Federico II da quasi otto secoli abbarbicato su una collina solitaria nel cuore delle Murge?
In realtà, dietro la trama del romanzo, abilmente sviluppata nell’alveo del genere avventura-thriller, si nasconde un sottotesto filosofico, storico e scientifico che mira a far riflettere sul rapporto antinomico fra scienza e fede, reale e immaginario, storia e mito. Sul confine di ogni ricerca che aspira a varcare le soglie dell’ignoto, sia esso scientifico, religioso o umano. Quel confine che ha come simboli
immortali le Colonne d’Ercole dell’Ulisse di Dante, la Pathmos – il promontorio d’onde si vedono le tenebre – di Victor Hugo, l’onniscienza del Faust di Goethe, la linea d’ombra – “quella che ci avverte di dover lasciare alle spalle le ragioni della prima gioventù” – di Joseph Conrad.
E quale fabbrica più esemplare è in grado di sprigionare quella eterna dialettica filosofica, ancor prima che storica e antropologica, tra visioni razionalistiche o agnostiche e visioni fideistiche, o consentire l’ispirazione di una ricerca che si spinge ai confini della conoscenza, se non Castel del Monte, ormai da anni al centro di dibattiti sempre più accesi fra addetti ai lavori e semplici appassionati?
Quel castello è in grado ancora di parlarci, dopo quasi otto secoli, dall’alto di una collina. E lo fa con un linguaggio necessariamente simbolico che va oltre il sensibile, che tocca nel profondo sino a sfiorare gli abissi della mente umana. E allora, ogni racconto su Castel del Monte non può che non essere anche il racconto di un mito, ma non inteso nel senso di favola o leggenda utile a incantare o svagare
le genti, bensì racconto di una storia sacra che serve a “soddisfare profondi bisogni religiosi, esigenze morali…un ingrediente vitale della civiltà umana”, per usare le parole di Bronislaw Malinowski (antropologo e studioso illustre del XX secolo).
Il pregio del romanzo di De Giovanni è di riportare l’attenzione sul valore catartico, unificante, assolutamente fondante che i miti possono avere per costruire l’identità di un territorio.
Un territorio, come quello della nuova e antica provincia pugliese, che ha bisogno di trovare un tesoro in cui credere, un bene superiore più grande di ogni piccolo e fazioso campanilismo, un qualcosa che possa gettare le basi per lo sviluppo di ogni persona che vi ci abita e vi lavora.