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È la notte tra il 29 ed il 30 settembre del 1975 quando l’Italia viene scossa da uno tra i crimini più efferati della sua storia: lo stupro e le violenze mortali nei confronti delle giovani Rosaria Lopez e Donatella Colasanti (riuscita poi miracolosamente a salvarsi fingendosi morta) ad opera di tre giovani della Roma benestante: Andrea Ghira, Gianni Guido, Angelo Izzo.
Quarantuno anni dopo, lo scrittore Edoardo Albinati, compagno di scuola degli spietati aguzzini e di classe del fratello minore di Angelo Izzo, racconta nel romanzo “La scuola cattolica” del contesto storico, politico e culturale in cui matura la strage, vincendo il Premio Strega del 2016.
La pellicola cinematografica che traspone sul grande schermo l’opera di Albinati, di Stefano Mordini, ha il pregio di trasporre le atmosfere cupe del romanzo, analizzando le ipocrisie dell’alta società romana e la relativa disgregazione del fallace, benestante tessuto sociale.
Nel cuore degli Anni di piombo la soluzione per sottrarre le nuove generazioni alle violenze delle strade sembra essere quella di iscriverli a facoltose scuole private.
Istituti austeri con vertici autoritari spesso per soli uomini, come quello in cui si svolge la vicenda: Il Liceo Classico San Leone Magno.
Tra le mura della struttura, il protagonista (un giovane Edoardo Albinati interpretato da Emanuele Maria Di Stefano) racconta le vicende dei suoi compagni di scuola e di classe. Mette al corrente lo spettatore del rude cameratismo che si sviluppa in quel luogo, in cui si riflette sul senso del male, delle azioni violente e della conseguente redenzione. Il narratore prova così a ripercorrere ed analizzare i motivi che hanno portato tre giovani della Roma facoltosa a compiere ripetutamente atti così aberranti.
In una delle sequenze narrative più emblematiche, Padre Golgota (finezza stilistica per un nome allegorico) racconta alla classe di Albinati di come per “subire il male ci sia pur bisogno di qualcuno che lo commetta”. Un monito che sembra presagire cosa avverá nel prosieguo della narrazione, mettendo in correlazione l’iconografia degli aguzzini che flagellano Cristo ed i tre “mostri” del Circeo, che si scagliano con violenza sulla purezza di due giovani innocenti.
Mordini riporta sul grande schermo le tematiche più importanti del romanzo: il sistema educativo incapace di comprendere le esigenze dei più giovani, le ipocrisie della società borghese e della sua impotenza nell’impartire delle regole senza far ricorso alla violenza o alla semplice corruzione, la necessità, per gli adolescenti, di dimostrare continuamente la propria virilità avvalendosi della forza bruta, senza oltrepassare (a detta del giovane Albinati) quel limite che porta la violenza giustamente sfogata alla violenza nera o fascista.
L’adattamento cinematografico del romanzo Premio Strega è stato accolto sul grande schermo fuori concorso a Venezia, con il divieto di visione per gli spettatori al di sotto dei 14 anni.
A pochi giorni dall’uscita in sala (ed a distanza di pochi mesi dall’abolizione della censura cinematografica ad opera del Ministro Franceschini) il limite per gli spettatori è stato alzato a 18 anni.
Non sono mancate le polemiche, dal regista fino allo stesso Albinati, passando per il cast e la sua portavoce più significativa Benedetta Porcaroli.
Tra le motivazioni del divieto il rimando alle sequenze narrative finali, quelle dell’efferato massacro, capaci di trascinare lo spettatore in un turbinio drammatico e viscerale di quella maledetta notte.
Izzo, Ghira e Guido (interpretati in maniera magistrale rispettivamente da Luca Vergoni, Giulio Pranno e Francesco Cavallo) rappresentano perfettamente la dominazione ideologica del “forte” sul più debole. Sono lo specchio del lato più oscuro della società, sono il prodotto di un’educazione violenta e distaccata, di una famiglie assenti quanto fredde, abituate a comprare favori quanto gli affetti di cui si circondano. I tre mostri del Circeo vengono seguiti dalle telecamere negli sprazzi della loro quotidianità fino alla mattanza che coinvolge Rosaria Lopez (Federica Torchetti) e Donatella Colasanti (una grande Benedetta Porcaroli).
Sembrano giovani come tanti e nonostante siano inclini alla goliardia ed abbiano un temperamento arrogante e violento (ricordiamo che Ghira ed Izzo avevano precedenti penali gravi e quest’ultimo era stato addirittura espulso dagli ambienti del Movimento Sociale Italiano a lungo frequentati) nessuno avrebbe mai potuto sospettarli capaci di una brutale mattanza come quella che ebbe luogo per oltre 36 ore nella Villa degli orrori a San Felice Circeo, in una giornata che per le due giovani sembrava segnare in maniera quasi romanzesca la nascita di una nuova amicizia e la demarcazione fra il caldo estivo e le prime brezze autunnali, ma che ben presto divenne la spirale di un incubo senza fine.
Rosaria Lopez morì quella notte, Donatella Colasanti lottò anche per lei quando si finse morta ed attirò con le sue urla un poliziotto di passaggio che la ritrovò moribonda e tumefatta nel bagagliaio della Fiat 127 degli aguzzini. Lottò per quasi altri 30 anni fino alla sua morte nel dicembre 2005 a causa di un tumore. Le ferite del suo animo non si rimarginarono mai e continuarono a segnarla ed attanagliarla fino agli ultimi istanti della sua vita.
Le sue ultime parole risuonano ancora oggi come un monito perenne: “Battiamoci per la verità”.
La sensazione, con le polemiche che non accennano a placarsi, è che la censura di una pellicola del genere non possa favorire una sensibilizzazione adeguata riguardo la violenza di genere di cui la narrazione si fa, in maniera estremamente efficace, portavoce. Fino agli eventi del Massacro del Circeo lo stupro era considerato un crimine contro la morale pubblica e mai contro la persona che lo aveva subito. È grazie alla forza di donne straordinarie come Donatella Colasanti che oggi si è potuta imbastire una riflessione decisiva per un cambiamento ed un progresso che rifiuta ogni forma di sottomissione e brutale violenza.
Nonostante ciò, “La scuola cattolica” sembra essere uno specchio ancora attualissimo sul nostro presente.
Alarico Lazzaro