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«Quello che non capiscono è che l’immigrazione è una linfa vitale in un Paese come il nostro che sta inesorabilmente invecchiando! Hanno scordato i milioni di italiani emigrati ai quattro capi del mondo dove sono stati disposti a fare i lavori più umili pur di sfuggire alla miseria. Anche grazie a loro, le patrie adottive hanno acquisito prestigio e ricchezze»: sono le giuste parole di uno dei protagonisti del romanzo giallo “Il rider” dello scrittore e regista Aldo Lado. Nell’opera si narra la storia di André, un giovane giunto in Italia dall’Africa per tentare di costruirsi una vita dignitosa; essendo purtroppo un clandestino, è costretto a svolgere un lavoro in cui viene sfruttato. André fa il rider ma solo perché uno studente italiano ha pensato di approfittare della sua scomoda posizione per farlo lavorare al posto suo, e poi prendere la metà dei soldi; il ragazzo ha comunque accettato, perché sennò per lui non rimane che la strada dell’illegalità, e non ne ha l’intenzione. Così André ogni giorno sfreccia per le strade di Milano, con la sua fedele bici trovata in una discarica; la sera, distrutto, mangia alla mensa dei frati e poi si rifugia in una ex fabbrica di mobili occupata da extracomunitari. È una vita dura ma almeno è onesta – «Sono alcuni mesi che fa quel lavoro estenuante, ma è in Italia da oltre un anno. Pensava che dalla costa libica sarebbe stato facile superare il mare che separa il continente africano dall’Europa, ma non era stato così. Dopo tre giorni su un gommone era approdato al sud, e aveva risalito la Penisola evitando i centri abitati per non rischiare di venire individuato. C’erano dei tizi chiamati “caporali” che incettavano gli immigrati irregolari per fornire mano d’opera a costo quasi zero e aveva raccolto pomodori o frutta dormendo in fatiscenti baraccopoli, spalato letame o scaricato pesanti sacchi di cemento. Ma era così che aveva racimolato qualche soldo, e arrivato a Milano aveva potuto comperarsi quel lavoro di rider». André lotta e si impegna, perché il suo sogno è partire per Parigi e studiare medicina; i suoi desideri vengono però spezzati da un evento che cambia per sempre il suo destino: egli viene a sapere che un uomo a cui ha fatto una consegna è stato assassinato poco dopo. A questo delitto ne seguono altri due, e l’identikit dell’uomo responsabile sembra avvalorare la tesi che si tratti di un rider. Tra sofferenze e umiliazioni patite dal giovane André, si racconta una storia di pregiudizi e discriminazioni; un giallo appassionante, calato perfettamente nell’attualità.

Redazione

Lsd sta per Last smart day, ovvero ultimo giorno intelligente, ultima speranza di una fuga da una cultura ormai completamente omologata, massificata, banalizzata. Il riferimento all'acido lisergico del nostro padre spirituale, Albert Hofmann, non è casuale, anzi tutto parte di lì perché LSDmagazine si propone come cura culturale per menti deviate dalla televisione e dalla pubblicità. Nel concreto il quotidiano diretto da Michele Traversa si offre anzitutto come enorme contenitore dell'espressività di chiunque voglia far sentire la propria opinione o menzionare fatti e notizie al di fuori dei canonici mezzi di comunicazione. Lsd pone la sua attenzione su ciò che solletica l'interesse dei suoi scrittori, indipendente dal fatto che quanto scritto sia popolare o meno, perciò riflette un sentire libero e sincero, assolutamente non vincolato e mosso dalla sola curiosità (o passione) dei suoi collaboratori. In conseguenza di ciò, hanno spazio molteplici interviste condotte a personaggi di sicuro spessore ma che non trovano spazio nei salotti televisivi, recensioni di gruppi musicali, dischi e libri non riconosciuti come best sellers, cronache e resoconti di sport minori, fatti ed iniziative locali che solitamente non hanno il risalto che meritano. Ma Lsd è anche fuga dal quotidiano, i vari resoconti dai luoghi più suggestivi del pianeta rendono il nostro magazine punto di riferimento per odeporici lettori.