Tempo di lettura: 7 minuti
Il vento ulula. La nebbia è fittissima ma c’è una luce in lontananza, quella rassicurante di un imponente faro. Due coppie di uomini si incrociano su una sperduta isola a largo delle coste del New England, senza alcuna interazione reciproca.
I primi vengono caricati su una barca e lasciano il luogo. Gli altri si fermano a guardarli mentre si allontanano. In sottofondo risuona una roboante sirena. Infine, uno sguardo fisso in camera, per un frammento di “The Lighthouse” ormai diventato iconico, con Robert Pattinson e Willem Dafoe che sembrano stabilire una diretta interazione con il pubblico fin dalla loro prima apparizione.
E’ questo il misterioso Incipit di un racconto drammatico quanto allegorico del maestro Robert Eggers, già divenuto celebre per la sapiente regia del capolavoro noir “The Witch” nel recente 2015.
“The Lighthouse” si impone sulla scena della cinematografia mondiale rievocando echi e fasti di un passato di profonda prosperità culturale. Dal formato 1,19:1 in bianco e nero (assente da più di 80 anni sul grande schermo) fino alla ripresa parziale di un racconto mai concluso del maestro del brivido Edgar Allan Poe.
Il maestro aveva cominciato a scrivere il racconto breve “The Lighthouse” durante gli ultimi mesi di vita, nell’estate del 1849, incentrando la narrazione ,sotto forma di diario, sulle confessioni di un guardiano del faro giunto per il suo mese di lavoro su un’isola remota. L’uomo con il suo fedele cane Nettuno, aveva ricevuto il lavoro e ne era stato immediatamente entusiasta, poiché l’isolamento avrebbe giovato alla sua creatività da scrittore. Del diario di questo misterioso personaggi Poe ci avrebbe lasciato in eredità solo i primi tre capitoli e l’intestazione del quarto, non sufficienti a costruire ed evocare le spettrali atmosfere a cui capolavori come “il Corvo” “il Cuore Rivelatore” ed il “Gatto Nero” avevano abituato i cultori del genere, ma di profonda ispirazione tale da attirare l’attenzione del duo Eggers-Jarin Blaschke che avrebbe curato l’eccezionale fotografia di questa pellicola (ottenendo una meritata nomination agli Oscar) per un adattamento liberamente ispirato all’ultimo frammento della produzione letteraria del genio dell’occulto.
“The Lighthouse” conserva il crescendo di tensione tipico dei racconti di Poe, e la cura maniacale nei dettagli trascina lo spettatore in un connubio di emozioni profonde e complesse da esplicare.
C’è di sicuro l’empatia, che si stabilisce con i due protagonisti della vicenda, così antiteticamente legati quanto ben caratterizzati. Il rude, burbero Tom Wake, interpretato da uno strepitoso Willem Dafoe, incarna perfettamente i tratti distintivi dei “vecchi lupi di mare” del grande schermo: dal capitano Achab fino all’irascibile Quint de “Lo Squalo”. E’ verbalmente violento, maleducato, propenso all’alcolismo ed oltremodo superstizioso (si arrabbia spesso con Winslow che malvede la presenza dei gabbiani, a questa provocazione risponderà lapidario “Porta male uccidere uccelli marini…sono le reincarnazioni dei marinai morti”).
Essendo molto anziano subordina alla sua influenza e magnetismo verbale il giovane Ephraim Winslow, a cui affida turni di lavoro massacranti e che giudica quotidianamente su un registro dei risultati, che tiene sotto chiave in un armadio personale e che risulta essere lo strumento di potere più importante sull’isola.
Winslow è timido, riflette il timore reverenziale che provano gli stessi spettatori dinnanzi al comportamento di Wake, che per l’intera durata del film non è solo il leder incontrastato tra i due custodi, ma è il solo guardiano ad avere accesso alla sommità del faro, la cui luce rischiara la tenebrosa realtà di isolamento e difficoltà che i due vivono.
Quando la situazione sembra essere divenuta più sostenibile e sono trascorse ormai più di due settimane, Winslow comincia la sua discesa nel baratro della follia.
Dopo aver rinvenuto un manufatto di osso di balena raffigurante una sirena, il giovane guardiano viene spesso soggiogato da numerose e deliranti visioni: dalla sirena stessa fino al riflesso di quella sommità del faro che diviene il simbolico elemento di subordinazione e manipolazione con cui Wake ottiene la meglio sul compagno.
Le numerose repressioni sessuali e scene di ambigua masturbazione, l’alcol trangugiato rumorosamente da Wake, gli incubi di Winslow, le ombre spettrali dei precedenti custodi ed il vecchio compagno di Wake (che si scoprirà esser impazzito ed esser morto su quella stessa isola) e le violenze di natura fisica e psicologica a danno anche dei poveri gabbiani, unici abitanti dell’isola, sono tutte componenti che rendono il film di Eggers un capolavoro psicologicamente complesso ed a tratti frustrante. Lo spettatore si aliena con i due uomini ed insegue la luce della sommità del faro dal basso di una scala a chiocciola che riflette allegoricamente il tortuoso cammino di autodeterminazione dei protagonisti, in un gioco del gatto con il topo senza vincitori né vinti. Il tempo trascorre, e l’opera di Eggers diviene un’esperienza sensoriale sempre più disturbante. La colonna sonora ed i rumori delle onde che si infrangono sugli scogli, vengono spesso intervallati dai sordi richiami alla sirena della barca che aveva portato i due sull’isola, salvo rendersi immediatamente conto che mentre il limite delle 4 settimane è ormai trascorso, nessuna barca ha sfidato le burrascose acque per venire a salvare Wake e Winslow.
Rabbuiante la citazione del vecchio burbero: Da quanto tempo siamo su questo ammasso di rocce? Cinque settimane? Due giorni? Dove siamo? Aiutami a ricordare”.
Quando la situazione precipita ed i due si accorgono di essere soli ed in balia della follia e dell’isolamento la pellicola di Eggers comincia a delineare una simbologia di rimando letterale e mitologica.
Il Faro di Wake diviene la massima ambizione per entrambi i protagonisti e gli atteggiamenti dell’arcigno custode risveglieranno un’animo indomito e sofferente di Winslow , costretto a fare i conti con il proprio tormentato passato. Se per Wake quella luce è un indissolubile strumento di manipolazione psicologica, per Winslow diviene il fulcro della permanenza sull’isola, e la spasmodica ricerca di quella stessa luce diviene l’ultimo tassello di un’opera magistralmente interpretata.
Come i grandi personaggi letterari del titanismo, Winslow sfida il fato e l’egida autoritaria imposta dalle circostanze e come l’antico Prometeo della tradizione greca sovverte l’ordine gerarchico preesistente ribellandosi a Wake.
Nell’ultima spirale di follia, il giovane Winslow pagherà brutalmente il suo peccato di “ύβρις” (tracotanza) che fa eco al più romanzesco dei richiami classici e vedrà concretizzata la temibile e funesta predizione di Wake, pronunciata in una tra le sequenze più cupe della pellicola e magistralmente interpretata da un Dafoe che in termini di riconoscimenti materiali avrebbe senza ombra di dubbio meritato più di ciò che ha raccolto dall’Accademy Hollywoodiana.
“Che Nettuno ti trafigga con il tridente, Winslow. Ascolta, ascolta o Tritone Ascolta. Invoca, ordina al nostro padre, il re del mare, di sorgere dal profondo con l’aura spaventevole della sua furia. Che onde nere in mescolanza con schiuma salata riempiano questa giovane bocca di putrida acqua melmosa fino a soffocarti. Ti ingozzerei dei tuoi organi finché non diventerai blu in viso e gonfio di salamoia e di sentina e non potrai più urlare. E solo quando egli sul capo una corona di conchiglie e con una strisciante coda tentacolare e la folta barba fumante solleverà minaccioso al fine il suo possente braccio, il suo tridente dalle punte di corallo stridendo come spirito nella tempesta con immane forza affonderà nella tua gola. E tu esploderai non più disgustosa vescica rigonfia ma vuota sacca sanguinolenta, ora un niente che le mostruose arpie, insieme alle anime dei marinai che ci hanno lasciato, beccheranno e artiglieranno per nutrirsene, prima che essa venga al fine trangugiato, inghiottito dalle infinite acque che a quello spaventoso imperatore sono asservite. Dimenticato da ogni uomo di qualsiasi epoca, dimenticato da ogni dio o diavolo, dimenticato anche dagli oceani perché in ogni pezzo o brandello di Winslow, fino all’ultimo rimasuglio della tua anima Winslow, non ci sarà più ma sarà e egli stesso il mare”
The Lighthouse lascia spazio a profonde riflessioni. La sua promozione, fatta eccezione del Festival di Cannes del 2019 è passata in sordina e complice il periodo pandemico che ha messo in ginocchio cinema e mondo dello spettacolo ha fatto il suo esordio in Italia nel marzo 2019 in Home Video ed esclusivamente in DVD.
A seguito di una massiccia rivolta e recensioni negative a cause della scelta limitante, nel mese di novembre del 2020 la Universal Pictures ha messo in commercio anche la versione Blu-Ray ed una ricercata edizione speciale arricchita da 5 card che raffigurano i fotogrammi più iconici del film.
Destinato a diventare una pietra miliare del genere, “The Lighthouse” è un’opera ben riuscita che omaggia la cinematografia e la produzione letteraria del passato. Impossibile non menzionare i simbolismi riconducibili ai grandi maestri come Coleridge, il già menzionato Poe, Lovecraft (a cui sono dedicate le scene di maggior visceralità) , Milton ed il suo antieroe del male e sopratutto un rimando diretto al cinema di Lynch e dei grandi capolavori Hitchcockiani, con i gabbiani, che notoriamente sono un simbolo benigno per gli uomini di mare, che diventeranno dei temibili alleati del male nella discesa nel baratro della follia di Wake e Winslow, alla stregua degli stormi in “Uccelli” del maestro della suspance.
Tra ambientazioni gotiche, scenari accattivanti, giochi di luci ed ombre, una fotografia eccellente, un sonoro da brividi e sequenze narrative deviate e disturbanti “The Lighthouse” si propone come un profondo omaggio al passato, consapevole che ben presto potrebbe diventare una pietra miliare capace di rivoluzionare un genere che da troppo tempo non sfornava perle di drammaticità viscerale come questa.
“Che la pallida morte con l’orrido artiglio faccia d’un antro oceanico il nostro giaciglio. Dio che dell’onde ascolti veemenza salvi l’anima che invoca clemenza. Alle quattro settimane”
Willem Dafoe-Thomas Wake.
Alarico Lazzaro