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“Yes We Can”. Troneggiava imperioso questo messaggio di speranza e cambiamento sulle effigi e bandiere della campagna elettorale democratica USA del 2008. In Iowa, al termine del primo caucus utile alla nomina ufficiale per le primarie democratiche, il giovane Barack Obama aveva sbaragliato la concorrenza con il 38% delle preferenze ed al termine di una lunga scalata aveva guadagnato l’immediato appoggio e consenso perfino dei suoi avversari, Edwards ed Hillary Clinton, con cui diede vita ad un testa a testa entusiasmante e che fu una tra le più accese sostenitrici del governo Obama.
Il Partito Repubblicano viveva una situazione particolare. Gli 8 anni di George W. Bush lo avevano incoronato come uno tra i presidenti più apprezzati e nel 2004 aveva ottenuto la rielezione con il record di 62 milioni di consensi nel voto popolare. Tuttavia ancora oggi, secondo l’opinione pubblica americana, Bush era sempre stato un personaggio controverso, spesso accusato di avere idee infantili e modi di affrontare i problemi “da adolescente”. Inoltre i numerosi conflitti in Medio Oriente, la catastrofe globale dell’11 settembre 2001 avevano reso il presidente sempre meno popolare tra gli elettori. La roccaforte repubblicana alla White House era tutt’altro che sicura e l’arduo compito di mantenere la cartina “Lean Red” fu affidato al senatore dell’Arizona John McCain, che prevalse dopo un testa a testa su Mitt Romney che allora ricopriva la carica di governatore del Massachusetts e che avrebbe perso le elezioni contro lo stesso Obama 4 anni più tardi.
L’andamento iniziale dei sondaggi , che vedeva un paritario testa a testa tra i due candidati inediti (vista la dipartita per il raggiungimento massimo dei due mandati del presidente uscente) cambiò radicalmente dopo poche settimane dall’inizio della campagna elettorale. Obama fece leva sullo spirito di una nazione pronta a risorgere coinvolgendo ogni ceto sociale, rendendo parte integrante del cambiamento degli States anche i ceti meno abbienti, le minoranze come afroamericani ed ispanici, che alle urne accorsero in massa per sostenere il candidato democratico.
Obama ebbe il merito di provare a trasformare l’elitario sistema della sanità statunitense. Negli USA la povertà e l’insoddisfazione di natura sociale sono ancora oggi argomenti sensibili. Gli Stati Uniti sono un paese dove i sussidi di disoccupazione vengono erogati alle famiglie di bisognosi solo per brevi periodi di tempo e la sanità non è preclusa solo a coloro che possono permetterselo grazie al ceto sociale e reddito o grazie ad un ruolo di rilievo nella società.
La riforma dell’Obamacare (legge federale entrata in vigore nel 2010) rappresentò uno tra i punti di svolta e di forza che resero la campagna dei democratici un trionfo annunciato.
Obama ebbe il merito di modellare la propria campagna anche sulla nascente potenza di Internet, aprendo canali di comunicazione diretta con i suoi seguaci, con gli elettori indecisi e con tutto il mondo.
Alle urne l’onda blu del cambiamento raccolse oltre 65 milioni di voti popolari, frantumando il record precedente di Bush e garantendo i primi 4 anni nella White House al primo presidente afroamericano della storia, un uomo umile e che aveva guadagnato il successo con decisione, perseveranza e profonda umanità.
Alcuni esiti elettorali furono addirittura clamorosi. Obama aveva strappato la maggioranza dei voti vincendo in più di 28 stati (contro i 22 di McCain) tra cui le roccaforti repubblicane che avevano appoggiato Bush negli anni precedenti, come Florida ,Ohio, Iowa, oggi Swing States tendenti al repubblicano.
Un risultato che avveniva durante un’epoca di profonda difficoltà e mutamenti sociali. Il mondo soffriva gli effetti della crisi e della recessione del 2008, i conflitti in Medio Oriente facevano da preludio alle Primavere Arabe, e gli Stati Uniti si focalizzavano sulla caccia ad Osama Bin Laden.
Nel 2009 Barack Obama ricevette il Premio Nobel per la pace, vinto grazie alla sua capacità di intensificare la cooperazione internazionale tra le potenze mondiali.
Ancora oggi la personalità di Obama divide gli elettori, gli appassionati di politica internazionale ed i saggisti di cultura e dottrine politiche. Dove molti vedono nell’energia positiva dell’ex presidente l’emblema delle riforme storiche utili a cementare unità tra i tessuti della società americana, altri individuano (in aggiunta ai numerosi conflitti ed ad una politica estera spesso disastrosa con le potenze in Medio Oriente e con la Corea del Nord) uno tra i motivi per cui il vecchio establishment della presidenza Obama si sarebbe presto avviato ad un immancabile declino, lo stesso che spinse gli Swing States del 2016 a voltare clamorosamente le spalle ad Hillary Clinton e sposare il progetto dinamico, politicamente scorretto ma tremendamente onesto ed efficace di Donald Trump.
Alarico Lazzaro
secondo episodio della rubrica "Elezioni Usa che hanno cambiato la storia"