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Quando Jacinda Ardern divenne primo ministro, dopo la scalata interna al partito laburista neozelandese, era il 2017 ed aveva 37 anni, un primato elettivo che la rendeva la più giovane leader mondiale al comando di un Paese. Da quel record singolare sono passati 3 anni. Anni in cui la Ardern con saggezza, moderazione e temperanza ha permesso alla Nuova Zelanda una profonda crescita, un rilancio netto a livello internazionale pur preservando cultura e tradizioni di una terra misteriosa, a tratti remota, e ben nota all’occidente solo a partire dai primi anni 2000, quando Peter Jackson decise di ambientare tra i paesaggi bucolici e fiabeschi alla periferia di Wellington i capolavori della saga cinematografica “Il Signore Degli Anelli”.
La Nuova Zelanda è uno tra i paesi più sicuri ed apprezzati al mondo. Il tasso di criminalità è letteralmente nullo, il PIL in costante crescita (ad oggi la Nuova Zelanda è al 63esimo posto della classifica mondiale, un risultato di grande spessore considerata la dimensione estremamente ridotta rispetto ad altre potenze mondiali), l’alfabetizzazione è al 100% e le bellezze naturali tra flora, fauna e parchi naturali sono tutelati dagli accordi internazionali che limitano l’emissione di CO2, l’inquinamento ambientale e la salvaguardia della biodiversità in un periodo critico per l’inarrestabile conseguenza dei climate changes a causa dell’impatto dell’uomo sull’ambiente.
Tuttavia quelli della Ardern sono stati comunque gli anni più difficili per questa piccola ma efficientissima realtà. Nel marzo 2018 il paese con uno tra i tassi più bassi legati al rischio della minaccia del terrorismo globale viene colpito duramente dalla mattanza che si consuma a Christchurch ad opera del folle Brenton Tarrant, che dopo aver avviato una diretta su Facebook ed aver inciso i nomi degli interpreti più celebri delle guerre di religione del passato sui propri armamenti (come Riccardo Cuor Di Leone e Goffredo di Buglione) apre il fuoco durante il venerdì di preghiera nella moschea di Al Noor e nel centro islamico di Linwood.
Quando l’attentatore viene fermato, i sospetti confermano che l’attacco sarebbe continuato e non si sarebbe limitato alla morte degli oltre 50 fedeli rimasti uccisi durante le sparatorie.
Durante uno dei giorni più bui per la Nuova Zelanda la Ardern era lì, in visita alla moschea per unirsi al lutto della popolazione islamica del suo paese, era lì condannando fortemente il gesto, promuovendo con grande umanità il sincretismo culturale ed il rispetto per la diversità. Lapidaria la sua profonda e commovente commemorazione per le vittime perite, con un gesto simbolico, quello di non pronunciare il nome dell’uomo che aveva arrecato tutto quel dolore: “Forse cercava notorietà, ma noi in Nuova Zelanda non gli daremo nulla, nemmeno il suo nome”.
Ma la Ardern non ha dovuto solo fronteggiare il più sanguinoso massacro della storia per la Nuova Zelanda, ma anche l’ondata di Covid-19. Mentre altre superpotenze globali negavano la pericolosità del virus, la Nuova Zelanda ha optato per soluzioni drastiche fin dalle prime avvisaglie del morbo. Due lockdown, nelle aree più densamente popolate e nella capitale Wellington, hanno permesso ai primi di ottobre di registrare un progressivo calo nella curva dei contagi fino alla condizione “covid free” registrata nelle settimane successive e che hanno aumentato vertiginosamente la popolarità della Ardern.
Ad oggi, nonostante sia importante specificare che l’intera densità di popolazione neozelandese sia equivalente all’area urbana della capitale Roma, il Covid in Nuova Zelanda sembra essere stato sconfitto a più riprese ed in entrambe le ondate pandemiche, con la seconda che invece mette in ginocchio l’Europa dalla fine di settembre.
Con 25 decessi la Nuova Zelanda ha ridotto al minimo anche le conseguenze più drastiche del virus, non vedendo mai crollare il proprio sistema sanitario dinnanzi all’infuriare del morbo.
Durante i mesi di paura che hanno accomunato tutto il globo la Ardern ha scelto un approccio oltremodo convincente: l’umanità. Ha coinvolto i cittadini nelle proprie dirette Facebook spesso da casa, dove la famiglie hanno riscoperto i valori ed il piacere dello stare insieme e combattere con speranza il nemico invisibile. Ad oggi la premier neozelandese ha costruito il proprio successo sulla capacità di essere una grande politica ed una persona profondamente empatica, sempre in grado di rassicurare ed al contempo di garantire stabilità, prosperità e concretezza.
Così, nulla ha potuto l’opposizione di centrodestra durante la campagna e le elezioni del 2020. Una sconfitta con un risultato storico da quando esiste il sistema proporzionale di elezioni in Nuova Zelanda. Prima della Ardern nessun candidato aveva mai vinto con uno scarto così netto (50,6% di voti per la Ardern, solo il 25% per l’opposizione) e con un consenso popolare condiviso tanto da trasformare le elezioni in una formalità ed in un vero e proprio plebiscito politico.
A confermare il profondo spessore umano di una grande donna ancor prima di una grande politica è il Dalai Lama, che ci ha tenuto a congratularsi attraverso un Tweet con la neoeletta per il suo secondo mandato.
“I congratulate Jacinda Ardern on her party’s resounding victory in the New Zealand general election. I admire the courage, wisdom and leadership, as well as the calm, compassion and respect for others, she has shown in these challenging times”- ha scritto Sua Santità poche ore dopo l’esito delle urne. Una soddisfazione in più per una leader amata e stimata e che durante tempi bui e difficili come quelli che viviamo quotidianamente sarebbe vitale per tante grandi potenze mondiali.
Alarico Lazzaro