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È una mattina calda e dai colori autunnali, quella in cui il detective Park Du-man (interpretato da un magistrale Song Ka-Ho) scopre il cadavere di una giovane donna in un canale di scolo nelle campagne della provincia di Gyeonggi in Corea del Sud.
È questo l’incipit di una storia di drammaticità viscerale che grazie alla sapiente regia del maestro Bong Joon Ho acquisisce nuova linfa, con un celebrato ritorno sul grande schermo nel febbraio del 2020, sulla scia del trionfo assoluto di “Parasite” capace di monopolizzare e cannibalizzare la notte degli Oscar.
Pochi sanno tuttavia, l’incredibile storia dietro il film.
Bong Joon decise nel 2003 di concepire “Memorie di un assassino” ricostruendo le vicende che scossero la Corea del Sud nel lontano 1986, anno in cui fece la sua comparsa il primo e ad oggi unico assassino seriale della storia in un paese che dopo essere stato scosso e diviso dai vicini del Nord dopo i 3 anni di Guerra di Corea, viveva una situazione di profonda stabilitá, ordine, disciplina, che rendono ancora oggi i paesi orientali una roccaforte di tranquillità.
La narrazione non si limita a ripercorrere le azioni dello spietato antagonista, ma analizza in maniera analitica e profonda tutti i personaggi. Song Ka-Ho amico fraterno del regista e già protagonista della quasi totalità delle produzioni cinematografiche del maestro, interpreta Il detective locale Park, un uomo burbero, grottesco e poco professionale. “I criminali io li riconosco dalla faccia” afferma sicuro in una delle prime sequenze narrative del film.
Ad affiancare Park, il collega Cho Yong-gu, uomo rude e profondamente violento. All’incapacità dei due di affrontare la situazione, ricorrendo spesso alla violenza e all’abuso per far confessare “fantomatici sospettati” incapaci di difendersi, il maestro Bong frappone la calma e l’intelligenza dell’investigatore privato Seo Tae-yun, giunto da Seoul dopo aver indagato ed essersi appassionato autonomamente al caso.
La capacità di giudizio di Seo sembra condurre le indagini verso una svolta. L’omicida colpisce in casi specifici, con la pioggia, dopo aver ascoltato una canzone in radio e uccide solo donne, spesso giovani e sole. Una sortita notturna quando tutti gli elementi combaciano sembra mettere fine alla indagini, ma è l’inizio di un turbinio di cupa insoddisfazione e profonda impotenza capace di attanagliare ed inibire anche le spiccate doti intellettive del giovane detective di Seoul.
Quando anche l’ultimo sospettato viene rilasciato per mancanza di prove ed un test del DNA che lo scagiona definitivamente, sulla piccola comunità sudcoreana calano le tenebre, senza vincitori nè vinti.
Le memorie di un assassino terminano in una cupa giornata piovosa, che ,come a chiudere un cerchio narrativo, risulta una grande finezza stilistica del regista.
Bong sembra quasi giocare con il tempo, a seconda delle sensazioni provate dai suoi personaggi.
Nel 2003 il detective Park ha cambiato lavoro, è un piccolo imprenditore che ha dimenticato il suo passato e riscoperto il piacere della propria famiglia.
Una mattina il destino lo vede tornare proprio nel luogo in cui la spirale di morte e devastazione era iniziata.
Park scende e torna verso il canale di scolo, si china e guarda.
La scena viene interrotta da una bambina ed il dialogo che ne segue è un climax di tensione drammatica.
Quest’ultima chiede a Park che ci trovino di speciale tutte le persone che si chinano per guardare nel canale, poiché pochi giorni prima aveva fatto la stessa domanda ad un uomo misterioso e quest’ultimo le aveva risposto che era tornato per ricordare cosa avesse fatto pochi anni prima.
Il detective intuisce, e chiede alla giovane che aspetto e che faccia avesse.
La bambina, dal basso della sua innocenza probabilmente non capirà mai i risvolti macabri della vicenda di cui diventa inaspettatamente una sorta di chiave di volta. “Ordinaria” risponde-una persona normale.
Con una colonna sonora indimenticabile a far da sfondo a questo elegante climax di tensione l’ex detective Park sembra riflettere, cambia espressione e guarda fisso in camera. Il responsabile di morte e devastazione infatti è lì fuori, nel mondo che ci circonda, si nasconde e non lascia tracce…ma non è detto che si fermi.
Il volto di Park sembra rivolgersi sgomento agli spettatori e ricordare spaventato che il male è sfuggente ed é silente intorno a noi.
“Memorie di un Assassino” è una perla cinematografica, un grande omaggio anche alle famiglie delle vittime che hanno sofferto la furia omicida di Lee-Chun Jae.
Non si dimentica il loro dramma. Anche questo sembra dire il volto iconico di Park nell’ultima sequenza narrativa.
Un uomo responsabile di numerosi stupri violenze e numerosi omicidi (alcune fonti attestano tra le 10 e le 30 vittime tra violenze ed assassini ) è stato identificato solo il 22 settembre scorso, dopo aver placato la propria drammatica furia solo nel 1991 ed essere stato arrestato nel 1994 per l’omicidio della cognata.
Proprio il 2 ottobre di un anno fa, l’uomo ha ufficialmente confessato i suoi crimini, di essere proprio lui il “killer di Hwanseong” chiudendo di fatto il ciclo delle “Le Memorie di un Assassino”…
Quando a Bong venne chiesto un commento sulla vicenda, si limitò lapidario a rispondere che dopo anni trascorsi ad immaginarlo, disegnarlo e persino demonizzarlo vedere il suo volto perfettamente ordinario sui giornali gli fece provare sentimenti complicati da spiegare.
Gli stessi che attanagliano lo spettatore in questa opera d’arte cinematografica dall’inizio fino al mancato lieto fine di una vicenda di profondo spessore e drammaticità. Semplicemente un capolavoro senza tempo che rispecchia moltissimo la realtà…
Alarico Lazzaro