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“Bill [Frisell] ha una grande sensibilità ed è molto intuitivo. Mi ha detto che, quando era un bambino a Denver, ha ascoltato la mia prima band con Jack DeJohnette e Keith Jarrett e ne è stato influenzato, che la mia musica ha aperto la sua immaginazione a un ampio spettro di nuove possibilità. Abbiamo stabilito una connessione. Sapevo che ci stavamo muovendo verso il suono. Non abbiamo bisogno di dire molto quando siamo insieme. È tutto espresso nella musica, nel suono, nel sentimento.” (Charles Lloyd)
Ci sono doni di inestimabile valore che giungono imprevisti ed inattesi anche per incontentabili amanti e bulimici consumatori della Musica quali noi siamo e ci professiamo; ad esempio, mai, anche nelle più rosee previsioni e nei più proibiti sogni, avremmo supposto di poter godere per ben due volte in un solo anno solare della gioia di poter ascoltare in concerto Charles Lloyd, leggenda vivente e vate incontrastato del sassofono e del flauto jazz, per di più alla guida di due diverse formazioni. E invece il miracolo si è materializzato davanti ai nostri occhi e, soprattutto, nelle nostre orecchie nei giorni scorsi, quando l’ottantenne Maestro è salito sul palco del Nicolaus Hotel di Bari con i suoi Marvels, il gruppo fondato nel 2013 che annovera, oltre agli ottimi Greg Leisz alla chitarra pedal steel, Reuben Rogers al contrabbasso ed Eric Harland alla batteria, un’altra colonna del jazz moderno, quel Bill Frisell la cui chitarra è ormai da annoverarsi tra le migliori in senso assoluto nel suo genere. Dopo il debutto discografico del 2016 con “I long to see you”, che contiene i camei vocali dei divini Willie Nelson e Norah Jones, la formazione ha di recente pubblicato “Vanished gardens” con la corposa presenza, in molti dei brani dell’album, di Lucinda Williams, cantautrice statunitense dalla riconoscibilissima voce roca ed intensa, capace di esprimersi, sempre ad alti livelli, in composizioni rock, blues, folk, country ed – ora – anche jazz, la cui assenza in tour, e quindi anche nella tappa barese, preoccupava non poco i fans accorsi numerosi. Ebbene, se ci è concesso affermarlo sperando di non attirarci gli strali di quanti – e noi siamo certamente tra questi – hanno gradito – e molto – l’ultima uscita discografica, lasciateci pronunziare il canonico e laconico “forse è stato meglio così”, se non altro perché la rinuncia alle tonalità della Williams ha consentito al gruppo di spingersi ancora più in alto, elevandosi a dismisura, sulle vette dell’improvvisazione, vero elemento portante della loro produzione, così da poter tangibilmente vedere la continua evoluzione di queste cinque menti pensanti e goderne in tempo reale, nel momento stesso della creazione. Così è stato nel nuovo appuntamento con il pubblico barese, ancora una volta – proprio come quello tenuto con il New Quartet al Petruzzelli – fortemente voluto dalle belle menti dell’associazione Nel gioco del jazz, che ha anche quest’anno aperto la sua annuale Stagione – la decima – con il Genio di Memphis, padrone assoluto di un evento che ha avuto dell’incredibile, sino a raggiungere addirittura la perfezione quando è salito sul palco il nostro Roberto Ottaviano, deus ex machina dell’associazione assieme a Donato Romito e Pietro Laera, che ha più che straordinariamente incrociato il suo sax con quello del mito vivente, creando una mistura di bellezza assoluta, un momento di mistica ed ipnotica magia difficilmente replicabile, in cui tutti i musicisti impegnati sembravano gareggiare nel dar vita a idee musicali colme di slancio e di intuizioni, apparentemente elementari ed impalpabili ma in realtà complesse e poderose, tanto negli energici riff quanto nelle sognanti melodie, in uno sviluppo dinamico ed intuitivo che non conosceva un attimo di flessione o affaticamento, consegnandoci un set nuovamente memorabile.