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"lloyd"Un Tempio ed il suo Sacerdote: il rito è compiuto. 

26 luglio 2017: in una più che mai calda ed assolata estate, il Teatro Petruzzelli di Bari apre le sue porte per accogliere il mito di Charles Lloyd, leggenda vivente del jazz, per un concerto che sarà riportato a lettere d’oro negli annali non solo dell’Associazione Nel gioco del jazz ma anche di tutti gli amanti del genere che non si sono fatti sfuggire una sì ghiotta occasione, a dispetto dell’inizio delle tanto agognate vacanze. Ebbene, a posteriori possiamo certamente affermare che sarebbe valsa la pena partire più tardi per i luoghi di villeggiatura o addirittura rinunciare agli spostamenti per poter godere di questo evento davvero unico, fortemente voluto da Roberto Ottaviano e Donato Romito, magnifici padroni di casa ed inamovibili pilastri della citata Associazione, che, pur preparandosi ad una nuova stagione di successi, oggi si godono l’applauso riconoscente di quanti sono felici di poter esclamare “io c’ero”.

Ormai vicinissimo al traguardo delle ottanta primavere, Lloyd è ancora un artista puro, incontaminato, vitale e vigoroso, che sa farsi catturare dalla musica come fosse un diciottenne; a tal proposito, per una volta ci sia concesso di – scherzosamente – dirci in disaccordo con un passaggio dalla sempre ottima introduzione del Maestro Ottaviano, quando ricorda che Lloyd ha sempre avuto velleità di cantante, mentre noi crediamo – ed il concerto del Petruzzelli ce lo ha confermato – che, se non fosse stato irretito dall’amore per i suoi fiati, Lloyd avrebbe fatto il ballerino: vederlo danzare con classe degna del miglior Fred Astaire sulle note che lui stesso ha creato ci ha consegnato un’immagine che non dimenticheremo facilmente, come non potremo mai dimenticare il magnifico set proposto a Bari, giustamente improntato sull’ultimo recentissimo lavoro pubblicato con il suo New Quartet, il terzo in ordine di tempo in dieci anni di attività, il superlativo live “Passin’ thru”, dato alle stampe inaspettatamente a ridosso – ed anche questo la dice lunga sull’irrequieto slancio musicale del nostro – del successo dell’album “I long to see you”, primo titolo del progetto chiamato “The Marvels” che annovera anche Bill Frisell, Greg Leisz, Reuben Rogers ed Eric Harland, oltre ad ospiti del calibro di Willie Nelson e Norah Jones.

Nel nostro Politeama sono così riecheggiate, tra l’altro, le magiche note di brani come “Dream weaver”, composizione, risalente addirittura agli anni ’60, assolutamente contemplativa, con il sax tenore che si richiama espressamente alle architetture del divino Coltrane, “Tagore on the Delta”, per cui il Maestro ha imbracciato il flauto traverso, uno dei momenti più trascinanti, frenetici, divertenti e coinvolgenti della serata assieme alla title track, e poi la sognante “How can I tell you” e la meditativa “Shiva prayer”, ma anche di “Rabo de nube”, estrapolato dal primo lavoro del Quartetto datato 2008. Tutte esecuzioni impeccabili, sempre perfette, di brani che si muovono sul filo del rasoio, sulla indefinita linea di confine tra musica scritta ed improvvisazione, con i magnifici musicisti che, novelli equilibristi, percorrevano il tragitto senza rete e protezione alcuna, vincendo insindacabilmente la loro sfida. La batteria di Eric Harland suonava poderosa e vigorosa – a tratti anche troppo – e costituiva una portentosa sezione ritmica con lo splendido contrabbasso di Reuben Rogers, solida spina dorsale della formazione ma capace anche di lanciarsi in assolo di rara bellezza, mentre un discorso a parte merita il pianoforte di Gerald Clayton: già stabile band leader con interessantissime produzioni a suo nome, chiamato all’ingrato compito di sostituire l’eccellente Jason Moran, inamovibile nel New Quartet, il trentatreenne pianista – che a noi, anche visivamente oltre che musicalmente, ha ricordato le prime sortite del nostro Stefano Bollani – ha letteralmente incantato il pubblico barese con evoluzioni degne dei più grandi ed un gusto assolutamente unico, doti che ci hanno fatto gridare al miracolo e sperare in un immediato ritorno di Gerald dalle nostre parti. E su tutti, lui, lo splendido (quasi) ottantenne Charles Lloyd, che sia che suonasse il suo mitico sax tenore o il suo flauto, sia che strapazzasse le sue maracas, martoriando le orecchie del malcapitato Clayton, sia che si aggirasse sul palco del Petruzzelli come anima in pena alla ricerca di chissà cosa, danzava, sempre, ininterrottamente, incessantemente. Ed i nostri cuori con lui.

Foto di Mariagrazia Giove

Mariagrazia Giove