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“Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni.”
Se la frase di Paulo Coelho che abbiamo appena riportato risponde al vero, e non abbiamo alcun motivo di non crederlo, allora il mondo appartiene a gente come Rosario Bonaccorso, magnifico musicista e compositore nato all’ombra dell’Etna ma ligure d’adozione, eccelso contrabbassista la cui musicalità ci ha sempre richiamato alla memoria un altro grande dello strumento, il mai abbastanza compianto Charlie Haden, non solo per il tocco magico ma anche e soprattutto per quella capacità di creare linguaggi nuovi ed inediti con la sua musica. Anche “A beautiful story”, il suo ultimo progetto discografico, è una meravigliosa nuova tappa del suo viaggio artistico ed umano: dodici composizioni interamente dedicate ai sogni, anzi ispirate, generate, dettate finanche, dai sogni che hanno popolato il suo inconscio e che, al risveglio, è riuscito a catturare, decodificare e riportare sul pentagramma, facendovi oniricamente confluire suoni e sapori di origine spesso indefinibile, profumi ed aromi provenienti da culture lontane, da mondi impercettibili ad occhi aperti; suoni ipnotici, avvolgenti, in cui Bonaccorso riesce a far congiungere tutte le sue innumerevoli anime. Nel bagaglio che il contrabbassista siciliano ha assemblato per affrontare questa nuova avventura hanno trovato posto Alessandro Paternesi alla batteria, Enrico Zanisi al pianoforte e Dino Rubino al flicorno, lo stesso Quartetto che si è esibito all’Auditorium Vallisa di Bari in un applauditissimo concerto, penultimo appuntamento dell’annuale stagione dell’Associazione Mirarte, riuscendo sin dalle prime note a catturare ed inebriare il numeroso pubblico. I quattro “giovanotti” (si, quattro, compreso il Maestro. E al diavolo l’anagrafe!) impegnati sul palco riuscivano a creare sempre una perfetta simbiosi, un magnifico puzzle, caleidoscopico eppure compiuto, un ensemble composto da quattro menti pensanti ed autonome in idilliaca unione, amanti ricambiati ma anche, nello stesso momento, novelli condottieri, impegnati, con ogni loro forza, ad addomesticare quel flusso inesauribile di note che arrivava chissà da quale sogno del band leader per giungere, passando per il palco, incontaminato in platea, regalandoci momenti di vera poesia musicale, con gli ottimi Zanisi e, soprattutto, Rubino in stato di grazia, senza dimenticare naturalmente il Maestro, che andrebbe infinitamente lodato e ringraziato per aver deciso di mettere in gioco – senza dubbio uscendone vittorioso – il proprio sterminato talento per sperimentare e cercare nuovi linguaggi affinché la musica in genere – ed il jazz in particolare – possa dirsi ancora pulsante e vitale; perché se, come qualcuno afferma, “abbiamo tutti nel petto un violino e abbiamo perduto l’archetto per suonarlo. Alcuni lo ritrovano nei libri, altri nell’incendio di un tramonto, altri negli occhi di una persona, ma ogni volta l’archetto cade dalle mani e si perde come un filo d’erba o un sogno. La vita è la ricerca infinita di questo archetto per non sentire il silenzio che ci circonda”, allora non vi è dubbio che Rosario Bonaccorso, raccontandoci la sua beautiful story, aiuti tutti noi a realizzare un nostro sogno.