Tempo di lettura: 3 minuti
“In braccio al Mediterraneo, migratori di Africa e di Oriente affondano nel cavo delle onde. Il pacco dei semi portati da casa si sparge tra le alghe e i capelli. La terraferma Italia è terra chiusa. Li lasciamo annegare per negare”
Ci sono momenti in cui non è possibile non prendere posizione, frangenti in cui occorre schierarsi, operare una scelta di campo, in cui non si può nemmeno pensare di non essere coinvolti, di restarne fuori, alla finestra, se non al prezzo della perdita della propria stessa umanità. Ecco: umanità. È proprio a questa stupenda parola ed ai suoi tanti incantevoli significati che volava più spesso la nostra mente durante “Solo andata”, l’ottima pièce di Erri De Luca e del Canzoniere Grecanico Salentino che ha inaugurato l’annuale convincente stagione del Nuovo Teatro Palazzo di Bari diretta da Titta De Tommasi. Una kermesse che non tarderemmo a definire essenziale, di quelle che emozionano e fanno pensare allo stesso tempo, la cui visione andrebbe “imposta” nelle scuole nel tentativo di formare quantomeno le giovani menti, dato che le vecchie ormai sono – per lo più – atrofizzate e chiuse da muri insormontabili.
Non è solo teatro, non è solo concerto, parole e musica sì, ma che giungono sino a noi da un luogo “altro”, che era nostro e che ormai non ci appartiene più; l’operazione di Erri De Luca e di Alessia Tondo (voce, percussioni), Mauro Durante (voce, percussioni, violino), Emanuele Licci (voce, chitarra, bouzouki), Giancarlo Paglialunga (voce, tamburello), Massimiliano Morabito (organetto), Giulio Bianco (zampogna, armonica, flauti, fiati popolari), cui deve aggiungersi l’ipnotica danza di Silvia Perrone, gode di una inedita purezza che non la rende etichettabile, sia che le loro voci si inframezzino, sia che si incontrino all’unisono in un solo afflato (come nello splendido brano composto sulle commoventi parole dedicate da Erri a sua moglie), perfetta commistione tra la poesia dell’autore partenopeo, strepitoso affabulatore padrone di casa, e della anomala pizzica del Canzoniere, doti che affiorano già nel brano che dà il titolo alla performance, premio arte e diritti umani 2014 di Amnesty International e menzione de The Guardian, il cui video gode della presenza e dell’interpretazione di un superbo Manrico Gammarota, morto suicida a soli 60 anni, di cui Alessandro Gassmann, regista della clip, disse "era un grande essere umano, aveva il cuore troppo fragile per affrontare l’avventura della vita".
Basterebbe il magnifico verso finale di questa canzone (Uno di noi, a nome di tutti, ha detto "non vi sbarazzerete di me; va bene, muoio, ma in tre giorni risuscito e ritorno") a ricordarci che, come afferma De Luca, “è tempo di pronunciare parole favorevoli alla fraternità”. E noi non possiamo non dircene convinti, perché, grazie alle parole ed ai suoni degli artisti impegnati in palco, siamo riusciti a vederla quell’umanità, un’umanità di disperati, di affamati e di assetati, di uomini, donne e bambini in fuga verso la rinascita se non verso – appunto – la resurrezione, ma soprattutto siamo stati messi a confronto con la nostra umanità, con l’idea che ne serbiamo, con quel che resta del nostro sentirci esseri umani, fratelli, appartenenti al popolo degli abitanti di questa Terra.
Quel che Erri ed il Canzoniere fanno è porci di fronte ad uno specchio che, pur vivendo di innata luce, ci rimanda un’immagine di noi del tutto modificata, alterata, deformata, sino a farci comprendere, grazie alle splendide pagine originali o a quelle prese in prestito da Nâzım Hikmet, da Izet Sarajlic ed altri, che ad essere deforme ormai è il nostro stesso pensiero.