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Quando la società ti costringe a rinunciare a tutto – libertà di emozioni, di pensiero, di azione – le possibili vie di fuga sono due: sognare, immaginare “follemente”. E’ quello che è accaduto a Proprishchin, protagonista di “Memorie di un Pazzo”, racconto di Gogol’ edito nel 1835.
“E’ solo un sogno, ma nei sogni ho il diritto di fare tutto”afferma Proprishchin (Aksentij Ivanovic nel testo di Gogol’) nel delirio di una follia deformante, nella percezione di una realtà ribaltata scambiata per vera, nell’incapacità di riconoscersi in un ruolo imposto, sino al punto di non riuscire a identificarsi nella propria stessa immagine riflessa allo specchio.
Il testo messo in scena dal regista georgiano Levan Tsuladze, che per l’occasione ha scelto attori italiani e georgiani e le musiche di Zurab Gagloshvili, è portato sul palcoscenico nelle modalità di un teatro-quadro che procede per immagini e per visioni, ricostruendo un percorso mentale e tortuoso, magico e onirico, grottesco e commovente.
Oggetti volanti come mossi dal vagheggiamento del pensiero, popolano una scenografia mobile e stratificata in profondità (di Sergio Taddei), come se si trattasse dello studio accurato di una mente osservata con la lente di ingrandimento. Cosa c’è “dietro le quinte” della follia del protagonista? Proprishchin (un istrionico e esilarante Massimo Scola) è innamorato, anzi è perso d’amore. Un giorno tornando a casa, non riesce più a ricordare la strada, “si è smarrito tra le onde del mare”. Da questo momento in poi la sensazione è quella di viaggiare su una superficie galleggiante. Al centro un letto, a destra un armadio con la porta a specchio da cui possono entrare o uscire creature fantastiche, sul backdrop un separè trasparente dove una compagnia teatrale mette in scena un’insolita vicenda in cui Meggie, la donna-cane protagonista, sarà la donna di cui Proprishchin si innamora. Ogni volta che Proprishchin incontra la sua Meggie, gli sembrerà di non riconoscerla, ma ogni giorno si rinnamorerà di lei, come se fosse il primo giorno. Proprishchin trascinato in una clinica viene molestato psicologicamente. Qui gli viene ricordato che lui è un consigliere titolare e non può avere il diritto di amare.
Tsuladze gioca sui livelli di una fruizione dinamica, che lascia l’attenzione dello spettatore desta sino alla fine. Dal testo recitato si passa a quello proiettato o scritto su cartelli scorrevoli in mano agli attori. Una messa in scena interessante per un’esperienza teatrale avvolgente che dall’incipit sino alla fine, colpisce e coinvolge senza divagamenti inutili. Tutto “serve” alla scena, ogni elemento registico, scenico e drammaturgico è al posto giusto, al momento giusto.
Nella scena finale Proprishchin riuscirà a riconoscere Maggie, ma con la convinzione di essere il nuovo erede al trono di Spagna, Ferdinando VIII appunto, sempre innamoratissimo di una donna-cane che abbaia simpaticamente, suscitando sorrisi.
Lavinia Morisco