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Guardare i dipinti di Hopper è fare un salto all’interno di immobili realtà in cui i tempi sembrano sospesi, le atmosfere immortali, le tensioni tra i personaggi intrise di psicologia. Dal 25 marzo al 24 luglio le opere del pittore americano Edward Hopper sono ospitate all’interno del Palazzo Fava di Bologna, situato nel cuore della città, in una mostra dedicata, organizzata da Arthemisia Group con la fondazione Carisbo e Genius Bononiae e curata da Barbara Haskell e Luca Beatrice.
La mostra suddivisa in sei sezioni, spazia dalla vita personale e professionale di Hopper a una panoramica contestuale storica parallela alla vita dell’artista (1882 – 1967), dalle tecniche artistiche utilizzate alla riflessione sul suo punto di vista fisico e intellettuale. Partendo dal bozzetto-schizzo a matita (toccato e ritoccato più volte) per finire alla pennellata rapida e decisa, il signor Hopper amava starsene en plain air alla maniera di impressionisti come Degas e Manet, cercando di captare l’effetto della luce del sole sulle superfici, sugli uomini e sui paesaggi.
Non solo pittore, ma anche incisore e disegnatore per agenzie di pubblicità, il noto artista di Nyack era fortemente attratto dai rapporti tra gli interni e gli esterni, dalle relazioni tra l’uomo e l’attesa, delle sottili interazioni presunte, ma non palesate. Un’affascinante sensibilità fotografica si unisce all’evidente influenza degli immaginari cinematografici e delle atmosfere teatrali, come nel dipinto “Soir Bleu” (1914) agli esordi del successo, dove sulla terrazza di un caffè, un soldato, un uomo barbuto, una coppia di nobili, un clown e una prostituta riecheggiano la rigidità compositiva e la solitudine tipica dei personaggi del cinema muto. I soggetti prescelti dai suoi lavori sono i paesaggi urbani e la solitudine riflessiva dentro interni domestici.. “l’elemento che mi stava più a cuore era l’interno..”. Quando si parla di interno nell’immaginario di questo artista, non si può prendere il senso di questo termine solo in accezione fisica, ma anche come movimento interiore, psichico e mentale.
Si passa da dipinti fotografici urbani come “Il porto di Gloucester”, “Il faro a two lights”, o varie raffigurazioni dei ponti di New York caratterizzati da tonalità grigio-azzurre e cieli sbiaditi, a studi su abitazioni, case, facciate tagliate da fasci di luce, binari, pompe di benzina. I ritratti urbani non presentano figure umane, ma sembrano lo stadio preparatorio per creare una interrelazione tra un esterno potenziato di aspettativa e un interno che diventa sede di set cinematografici, con la cinepresa che indaga nella mente dell’uomo del ‘900, in piena crisi psicologica e segnata dal periodo storico.
Un topos all’interno dell’affascinante e perturbante pittura di Hopper è quello dell’“apertura” verso l’esterno o l’interno, stratificata in più elementi. Basti pensare all’enorme quantità di finestre comparse nella maggior parte dei suoi lavori, aperte o chiuse, le porte aperte, i balconi, le soglie, gli sguardi dei personaggi verso le aperture. Fino a quando non ci ritrova di fronte a opere postume come “Scala” (1949) dove il fruitore diventa il protagonista del quadro-scena, di fronte alla scala in discesa dell’ingresso di un’abitazione e la porta aperta verso un non so dove.
Dagli anni Trenta in poi gli azzurri celesti dei dipinti paesaggistici si fanno più intensi e accattivanti, come in “South Carolina Morning” o come in “Summertime” (1943).
Mentre i luoghi preferiti per gli interni sono i bar parigini, i ristoranti, le stanze da letto e i paesaggi di Gloucester dove Hopper ha vissuto a lungo con sua moglie. Le stanze diventano scatole psicologiche che formano un tutt’uno con i personaggi che vengono ritratti in momenti di riflessione, da soli, mentre guardano malinconicamente verso l’esterno, forse aspettando qualcuno o qualcosa. Il non-raggiunto dei personaggi può essere solo immaginato dal fruitore o può diventare oggetto di immedesimazione. Anche in “Secondo piano al sole” (1960) e in “Morning Sun” (ahimè non presente all’interno della mostra!) i personaggi baciati da un sole che sembra invadere le superfici e i personaggi, contemplano l’esterno in attesa (…).
La mostra si conclude con una chicca di sapor teatral-cinematografico che si preferisce lasciar scoprire ai visitatori, per un percorso all’insegna della curiosità e della sorpresa.
Lavinia Morisco