Tempo di lettura: 4 minuti
Dopo la pausa natalizia il 26 gennaio 1938 si gira la famosa scena dell’incendio di Atlanta. Selznick è sul set, come sempre, come in ogni suo film. Durante una breve pausa gli si avvicina il fratello, Myron, accompagnato da una giovane donna e, prima di presentarla, gli dice: "David, questa è la tua Rossella". Era Vivien Leigh che Myron aveva visto in un film inglese e, fatta venire in America, la presenta al fratello. Selznick è folgorato, l’ingaggia all’istante per un compenso irrisorio, rispetto al favoloso ingaggio che aveva accordato a Clark Gable, ma non sapeva che Vivien Leigh avrebbe recitato anche gratis per ottenere quel ruolo.
Nella storia di questo film, un ruolo determinante è interpretato da David Selznick, un produttore anomalo, per presenza costante durante la realizzazione dei ‘suoi’ film, un castigo di Dio per sceneggiatori, registi, attori, collaboratori, fino ai tecnici e agli addetti a mansioni di vario genere. Le sue regole sono semplici: il film è mio, si fa come dico io o si va a casa. Non tralascia nulla, nè lascia mai il set, dorme anche lui in un caravan o in studio nelle scene d’interno per intervenire, intromettersi in ogni fase della lavorazione, dalla sceneggiatura, alla regia, all’organizzazione logistica nelle spettacolari scene di guerra. È lui che comincia a scrivere la sceneggiatura, poi ci mettono le mani altre otto persone, infine l’affida definitivamente a Sidney Howard il quale è costretto a rendersi irreperibile per non subire continue interferenze di Selznick.
Ai registi capita di peggio. Dopo un anno di lavoro di George Cukor e litigi continui per le pretese di Selznick, questi lo licenzia e lo sostituisce con Victor Fleming che viene portato ad un grave esaurimento nervoso. Fleming si concede una pausa e Selznick, senza licenziarlo, affida provvisoriamente il film a Sam Wood, che licenzia malamente e lo sostituisce con uno scenografo. Torna poi Fleming a cui la regia è accreditata. Stessa sorte tocca al direttore della fotografia e a decine di altri tecnici e collaboratori vari, sostituiti o dimissionari, insofferenti alle manie, contraddizioni e cure maniacali di Selznick per ogni scena.
Come Dio vuole le riprese terminano il 15 luglio del 1939 per dare inizio al montaggio e doppiaggio con contorno di sfuriate e, finalmente, il 15 dicembre 1939 Via col vento arriva sullo schermo del Grand Theatre di Atlanta.
Quanto è costato? Una fortuna per quell’epoca.
La Metro Goldwyn Mayer aveva messo a disposizione della produzione 2 milioni e mezzo di dollari, ma Selznick ne ha spesi oltre 4 milioni di dollari di prima del secondo conflitto mondiale realizzando, in compenso, un ‘monumento del cinema hollywoodiano’. Il 20 febbraio 1940 Via col vento ottiene otto Oscar, nessun film ne aveva mai ottenuti tanti fino ad allora, compreso uno per Hattie McDaniel, la Mamie di Rossella, il primo consegnato ad un’attrice di colore non protagonista nella storia di Hollywood.
Presentato per la prima volta in Italia il 3 novembre 1948, in edizione originale con i sottotitoli, la versione doppiata in italiano sarà pronta oltre un anno dopo, nel marzo del 1950, per essere distribuito in tutte le sale d’Italia, si dice, ma non è vero. A Bari infatti arriva il 22 febbraio del 1951 e resta sullo schermo del Cinema Oriente fino al 21 marzo, un record assoluto di permanenza di un film in un cinema cittadino. Non solo, ma nella prima metà di ottobre l’Oriente torna a riproporlo per altri quindici giorni con il costo del biglietto invariato: 400 lire. Una famiglia di cinque persone ci avrebbe mangiato per due giorni.
Quanti spettatori hanno visto Via col vento e quanto ha incassato nel corso dei decenni? Tanti e tanto: tutte le cifre di quest’opera spettacolare restano insuperati e insuperabili.
Con Via col vento, sostengono gli addetti ai lavori, Hollywood dovrebbe aver esaurito i ‘fondi di magazzino’ accumulati durante gli anni del secondo conflitto mondiale per lenire la ‘fame’ di pellicole degli europei e conservare il mercato. Non sarà così. C’è, infine, l’impegno degli Stati Uniti nella guerra di Corea, che dovrebbe limitare il credito alle industrie cinematografiche hollywoodiane e, nella previsione di una ridotta capacità produttiva di film americani, in Europa e, specificatamente in Italia, da sempre il mercato più ricco per il cinema di Hollywood, dovrebbe esserci più spazio.
Ci sono, dunque, tutte le premesse per il cinema italiano di ritagliarsi una fetta maggiore di mercato, interno ed europeo, considerato che negli ultimi tempi si è notato un lieve rovesciamento nei gusti del pubblico che sembra apprezzare la produzione nazionale a scapito del cinema americano. Tutte previsioni sballate perché le risorse degli americani erano immense e l’Europa stava ancora leccandosi le ferite.
La rubrica “Storie di film e dintorni” continua la prossima domenica…