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“Con quest’opera si può dire veramente che ebbe principio la mia carriera artistica; e se dovetti lottare contro tante contrarietà, è certo però che il Nabucco nacque sotto una stella favorevole... Dal Nabucco in poi non ho avuto, si può dire, un’ora di quiete. Sedici anni di galera!”
Anche se, in realtà, non abbiamo mai creduto sino in fondo alla leggenda che vuole che il Maestro Giuseppe Verdi, tornato a tarda sera nella sua abitazione, si ritrovasse nelle tasche dell’ampio soprabito il manoscritto del Nabucco che Bartolomeo Merelli, impresario della Scala, vi aveva fatto scivolare ed, aperti sbadatamente quei fogli, si imbatté nel quadro degli Ebrei in schiavitù che intonano il "Va’, pensiero, sull’ali dorate" e, identificandovi, da profondo conoscitore delle Sacre Scritture, il Salmo 137, “Super flumina Babylonis”, non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte, pensando e ripensando a quel coro, ebbene, comunque sia, non possiamo non credere che quella pagina di musica giunga da lontano, molto lontano, probabilmente suggerita all’orecchio del giovane compositore che ebbe l’incommensurabile merito di decodificarla e donarla alla nostra povera umanità per l’eternità. Ecco, le emozioni che proviamo ad ogni nuovo ascolto del coro del finale del terzo atto, che ogniqualvolta ci spingono sino a giungere ad una commozione che attanaglia, mai sopita né attenuata nemmeno dalla sua ignobile indebita appropriazione da parte di una compagine partitica, fanno sì che il Nabucco possa essere annoverato tra le poche Opere che riescono a parlare al nostro cuore senza filtri, che raggiungono la nostra anima piegandola ad ogni loro volere.
Ed è accaduto nuovamente nella sera della prima di questa nuova edizione, secondo titolo della annuale Stagione della Fondazione Lirico Sinfonica del Teatro Petruzzelli. Così nel Politeama barese sono ancora una volta risuonate le immortali note della terza opera creata dal genio di Busseto, composta su libretto di Temistocle Solera, che trovò la prima fonte di ispirazione – diremmo la struttura della vicenda narrata – senza dubbio nella Bibbia, con riferimenti al citato Salmo 137, lo stesso che influenzerà Salvatore Quasimodo per la sua “Alle fronde dei salici”, ed al regno di Giuda invaso da parte del re babilonese Nabucodonosor nel 587-586 a.C., che saccheggiò il tempio di Gerusalemme e fece deportare i vinti in Babilonia, mentre per la creazione del triangolo amoroso ante litteram formato da Ismaele, Abigaille e Fenena si rifece con più probabilità al dramma francese Nabuchodonosor di Auguste Anicet-Bourgeois e Francis Cornu ed, infine, alla propria fantasia. Quel che accadde dalla prima rappresentazione alla Scala il 9 marzo del 1842 è storia e, con tutta probabilità, supera gli stessi intendimenti degli artefici di questo capolavoro universalmente riconosciuto: non solo il successo del coro del terzo atto fu di tale portata da costringere a concederne il bis, ma – come è noto – la sottomissione degli Ebrei e il loro canto nostalgico furono interpretati come simbolo della condizione degli italiani soggetti al dominio austriaco, decretando il successo dell’intera opera, che nello stesso 1842 ebbe solo alla Scala ben settantacinque riprese, e trasformando il coro stesso in uno degli inni dei moti risorgimentali, circostanza che causò qualche problema con la censura austriaca all’incolpevole Verdi che, quasi certamente, non aveva in nessun modo pensato di poter fomentare lo spirito rivoluzionario che serpeggiava nel nord Italia contro gli austriaci quando creò l’immortale pagina; quando Verdi portò Nabucco alla Scala era un giovane di ventinove anni che non presentava particolari velleità patriottiche o sobillatrici, ma aveva un unico desiderio, fortissimo e comprensibile: voleva affermarsi artisticamente, per uscire da quel tunnel senza fine nel quale era entrato negli ultimi anni, sopportando tragedie immense come l’annientamento della sua famiglia e l’umiliazione prodotta dall’insuccesso dell’opera precedente “Un giorno di regno”. Possiamo quindi ben dire – a riprova di quanto sopra affermato – che fu la musica travolgente, accesa, vivida che Verdi seppe imporre a questo libretto di impianto biblico ad infiammare i cuori patriottici, a creare un indissolubile legame con le sorti della stirpe italica che in quel popolo esule, schiavo e perdente si rispecchiava.
Ed oggi? Ora che lo sturm und drang patriottistico si è definitivamente perso – anche se, probabilmente, mai come in questo momento ci sarebbe bisogno di un risveglio delle coscienze -, occorre interrogarsi su come si possa dare rilievo alla perfetta partitura verdiana, anzitutto rispettandone gli intenti. A questa domanda ci pare dia risposta perfetta e compiuta questa nuova messa in scena del Petruzzelli, grazie soprattutto all’ottima regia di Joseph Franconi Lee, così forte e visionaria da riuscire a creare, con la complicità dei costumi di Pasquale Grossi, delle luci di Claudio Schmid e le coreografie di Marta Ferri e soprattutto con l’ausilio delle splendide scenografie che il compianto genio di Peter Hall realizzò per una regia di Franco Zeffirelli nei primi anni sessanta su commissione della stessa Scala, una serie innumerevole di magnifici dipinti in tre dimensioni, di fantastici fermoimmagine, di ipnotici quadri che hanno una sì devastante potenza visiva da ricordarci la sublime arte di Peter Greenaway. La incontestata perfezione della musica è stata senza dubbio esaltata dalla ispirata bacchetta del Maestro Roland Böer e dall’ottima prova dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli, anche se – data la giusta attesa del pubblico – una menzione particolare deve essere riservata alla sublime performance del Coro del Teatro, magistralmente diretto da Franco Sebastiani, che non si è fatto trovare impreparato nell’affrontare l’imervia prova, senza alcuna di quelle esitazioni che – eccettuato lo splendido Ismaele regalatoci da Antonio Corianò – talvolta abbiamo purtroppo dovuto riscontrare nel cast, forse vittima della tensione della prima e delle tante difficoltà nascoste nel pentagramma; pur non raggiungendo la perfezione, risultavano comunque più che convincenti la Abigaille (a nostro modesto parere la vera protagonista dell’opera) di Susanna Branchini, il Nabucodonosor di Giovanni Meoni, lo Zaccaria di Christophoros Stamboglis, la Fenena di Daniela Innamorati, cui devono aggiungersi Rocco Cavalluzzi e Gianluca Bocchino. Applausi per tutti.