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Luca Avallone, classe 1990. Una carriera che inizia vestendo i panni di Leo degli Elfi della Melevisione e un rapido successo che arriva con la fiction Rai Un’ altra vita (2014) diretta da Cinzia TH Torrini, passando per il teatro e i cortometraggi. Abbiamo chiacchierato con Luca sulla sua vita e carriera di giovane attore.
La carriera di attore impone di diventare ogni volta un personaggio diverso. Ma chi è Luca?
Bella domanda! Io non amo le definizioni e in realtà non so definirmi. Posso però dire che Luca è sicuramente un ragazzo determinato. Un ragazzo fortunato perché riesce a fare quello che sogna di fare. Non voglio cadere in definizioni scontate, da come attore, con ogni interpretazione capita di perdere alcune caratteristiche e di acquisirne di nuove.
Qual è stato il momento in cui hai capito che la recitazione sarebbe stata la tua strada?
Direi intorno ai 16 – 17 anni. Già da piccolo piaceva sognarmi attore. Ma devo dire che non pensavo sarebbe diventato il mio mestiere. Questa consapevolezza è arrivata con i 16 anni.
Quando si parla di vita da attore, la maggior parte delle persone pensa a un mondo agiato e privilegiato. E’ davvero così?
In genere lo spettatore pensa che quella dell’attore sia una vita fantastica e facile. A certi livelli, in effetti lo è. Ciò che però non viene quasi mai fuori è che fare l’attore vuol dire anche affrontare fatiche immense per miseri compensi. Non si deve dimenticare che, prima di apparire, c’è un mondo invisibile fatto di lunghe trafile per essere scelti o di spietata concorrenza, anche una volta famosi. Ecco perché questo mestiere richiede passione smisurata, forza, determinazione e pazienza.
Cosa vuol dire per te essere attore?
Vuol dire essere fortunato perché ho la possibilità di vivere un sacco di vite. Senza questo mestiere potrei vivere solo la mia. Quando recito, ho l’occasione di appropriarmi di punti di vista e opinioni diversi da quelli di Luca e propri invece dei personaggi che di volta in volta impersono. Insomma essere attore mi permette di avere una visione a 360 gradi della umanità.
La tua carriera televisiva inizia con la Melevisione, dove vesti panni di Leo degli Elfi. Quanto di questo personaggio appartiene e cosa di porti dietro di questa esperienza?
Ci tengo particolarmente a ricordare che sono partito da qui. La Melevisione mi ha arricchito dal punto di vista tecnico e umano. Certo avevo fatto diversi corsi di recitazione, ma qui per la prima volta ho imparato a stare davanti a una macchina da presa, con tre telecamere che riprendevano contemporaneamente. Devo dire che la mia prima posa è stata un po’ ingessata. Il programma comunque mi ha dato molto anche dal punto di vista emozionale. In particolare mi porto sempre dietro la freschezza e la simpatia del personaggio che interpretavo.
Nel 2014 arriva la grande occasione e diventi il Riccardo Raimondi protagonista della fiction Rai Un’altra vita. Raccontaci di questa esperienza e di cosa ha significato per te.
Un’altra vita è stata davvero un’esperienza forte. La mia prima esperienza in onda in fascia serale. Pensavo di partire per un ruolo più piccolo invece sono stato scelto per un ruolo importante. In più questo mi ha permesso di lavorare al fianco di attori professionisti e artisti di un certo calibro, come Vanessa Incontrada, Cesare Bocci, Loretta Goggi e Daniele Liotti. Ovviamente ho legato tantissimo anche con gli altri giovani attori.
Riccardo e Luca si assomigliano?
No. Riccardo è un codardo. Io non sono così, sono molto diverso. Eppure questa fiction mi ha permesso di esplorare anche un modo di fare come quello di Riccardo.
Dal 4 al 6 giugno il regista Simone Ruggero ti porterà al Teatro Vittoria con Coriolano di Shakespeare, per la rassegna Salviamo i talenti.
Si, lo spettacolo è in realtà già andato in scena. Adesso concorrerà nella rassegna insieme ad altre tre performance per guadagnarsi l’inserimento nel cartellone del Teatro Vittoria.
Che tipo di rappresentazione è quella del Coriolano di Ruggero?
E’ una rappresentazione classica e insieme moderna. La storia e il testo rimangono invariati. Abbiamo invece modificato il linguaggio, rendendolo più moderno, ridotto e rapido. Anche l’ambientazione è in parte originale. Lo sfondo è quello di una sorta di non tempo e non luogo che mantiene però un richiamo alla classicità. La sfida è quella di avvicinare i giovani al teatro classico. Tanto più perché ci troviamo davanti a una delle opere shakespeariane che, in Italia, non ha raggiunto fino a oggi grande notorietà.
Quali sono i messaggi nascosti dietro quest’opera?
Il Coriolano, così come il teatro shakespeariano in genere, racchiude in sé un germe di modernità. E’ un’opera che andrebbe vista e letta perché nasconde tanti messaggi diversi. Quello per me fondamentale è il tema dell’ipocrisia. Coriolano è ipocrita, è vero, ma è anche profondamente coerente con se stesso. E’ questo che lo rende diverso dagli altri personaggi negativi e, insieme, è questo che rappresenta la sua condanna. Sarà punito perché incapace di comunicare e in questo c’è un profondo senso politico. Ai fatti, il popolo preferisce la manipolazione. Ma qui mi fermo!
Prima di questa tappa, il 26 maggio passerai al Teatro Arvalia con lo spettacolo La signora di Rokujo diretto da Massimiliano Milesi e tratto da Il racconto della signora di Rokujo di Setouchi Jakucho.
Si, per ora si tratta di una serata unica. Lo spettacolo è in due atti e prende spunto da un testo giapponese che è una sorta di corrispettivo per il Giappone della nostra Divina Commedia. Non conoscevo la storia, ma ho scoperto che si tratta di uno dei maggiori capolavori giapponesi di tutti tempi.
Com’è stato immedesimarsi nella cultura giapponese?
Il Giappone ha una cultura lontanissima dalla nostra e ho fatto davvero fatica a entrare nella loro mentalità e persino nel loro modo di muoversi. Ho dovuto lavorare tantissimo sul movimento.
Televisione e Teatro sono mondi diversi. Qual è la differenza tra interpretazione teatrale e televisiva?
La distanza dello spettatore. A teatro lo spettatore è fisicamente presente, ma più lontano. Si deve lavorare molto sulla voce e fare in modo di far arrivare la forza dello spettacolo fino all’ultima fila. Parti dal palcoscenico, ma devi saperti estendere per tutta la sala e assorbire l’energia dello spettatore. E’ un’emozione impagabile. Al cinema è diverso, l’occhio dello spettatore è filtrato dalla camera, eppure può arrivare più vicino alle cose. Quindi si lavora di più sulla micromimica.
Quale dei due tipi di recitazione è più affine alla natura di Luca?
A luca piace fare l’attore. Quindi in base alle esigenze preferisce l’una o l’altro. La verità è che non saprei dirti. Formativamente il teatro è senza dubbio molto importante. Saper fare bene il teatro, ti rende più semplice la strada del cinema. Il contrario può spaventare.
Tra gli ingaggi che aumentano, non manca il tempo per corti e videoclip. Cosa ti regalano queste esperienze?
Girare un videoclip è molto divertente. Perché c’è della musica, hai delle azioni da fare, ma non è un’esperienza direttamente attoriale. I corti invece sono un’altra cosa. Un’esprienza importantissima e capace di formarti per cinema e tv. Proprio in questi giorni il fortunato corto di cui sono protagonista L’amore ormai di Roberto Gneo e Massimo Pellegrinotti si è aggiudicato il World Cinema Cinematography Van Gogh Award all’Amsterdam Film Festival 2015.
Fino ad oggi a quale personaggio, teatrale o televisivo, ti sei sentito più affine?
Paradossalmente proprio Riccardo Raimondi. Non sono così, ma lui ha molte cose mie. Anche Leo degli Elfi con la sua freschezza e allegria è in qualche modo simile a me.
Quale attore è per te il mito da imitare?
Sono due: Christian Bale e Joaquin Phoenix. Per me sono la bibbia attoriale. Sono due straordinari trasformisti. Riconosci la loro traccia, ma non vedi l’attore. Si eclissano e, allo stesso tempo, danno intensità a ogni interpretazione. Trasmettono l’anima.
La tua carriera ha ormai preso il volo. Con l’arrivo della notorietà è cambiata la tua vita?
No. La popolarità non mi ha cambiato. Sono il Luca vero di sempre, senza diventare io stesso un personaggio. Così come invariata resta la passione con cui continuo a dare il mio lavoro.
Per le prossime settimane sarai dunque a Teatro. Progetti per il futuro?
Non voglio dire nulla per scaramanzia. Fino a luglio sarò a teatro e poi sicuramente tornerò presto sul palcoscenico. Ma non voglio svelare altro.
Il sogno del cassetto di Luca?
Lavorare per il cinema italiano che, nonostante le critiche, continua ancora oggi a mostrare la sua grandezza. E poi un giorno mi piaceremmo molto girare un film con Alejandro González Iñárritu.