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Confessate: quanti tra voi si sono avvicinati al Teatro Petruzzelli per assistere alla rappresentazione del “Servo per due” con quella malsana espressione di sufficienza sulla faccia, quel sorrisetto saccente tanto antipatico ed un po’ ebete dietro cui nascondiamo la più malcelata e tronfia delle convinzioni, vale a dire quella di aver già visto il meglio, che nessuno possa più sorprenderci con la sua arte, noi vecchi marpioni cresciuti a pane e teatro? Ma si, coraggio, fate pure outing: sarà capitato anche a voi di avere un pensiero in testa nella fredda e piovosa sera barese, una cosa tipo “ma cosa potrà dirci – e soprattutto darci – questo nuovo Arlecchino riscritto da Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli, anche registi, con la complicità di Marit Nissen e Simonetta Solder, a noi che abbiamo applaudito – e non una volta sola – l’opera sublime del Maestro Giorgio Strehler resa immortale dal divino Ferruccio Soleri?”; siamo certi che qualcuno lo pensasse, abbiamo colto i ghigni di sfida all’ingresso del teatro. Ed ora diteci: quanti minuti ci avete messo ad abbandonare la vostra idea, a firmare la vostra incondizionata resa davanti all’eccellenza di questa messa in scena? A noi è bastato un brevissimo lasso di tempo, quello sufficiente a veder animarsi sotto i nostri occhi il palcoscenico, per capire che stavamo assistendo ad un vero capolavoro del genere. Certo, molta acqua è passata sotto i ponti da quando nel 1745 Carlo Goldoni scrisse il canovaccio de Il servitore di due padroni per l’attore Antonio Sacco, in arte Truffaldino, ed è forte il rischio di fallimento nel doversi confrontare con i tanti allestimenti e riscritture – quello già ricordato della coppia Strehler / Soleri ne resta il più fulgido esempio – succedutesi nel tempo; Favino ed il nostro Sassanelli intelligentemente aggirano l’ostacolo, innanzitutto rifacendosi non all’originale né alla rivisitazione strehleriana bensì alla recentissima (2011) versione londinese One man, two guvnors di Richard Bean, e poi decidendo di riportare l’ambientazione in Italia, nello specifico in una Rimini fascista e felliniana (bellissimo l’omaggio al Maestro nel finale), negli anni ’30, periodo temporale assolutamente credibile per permettere ad una compagnia di avanspettacolo (non più Commedia dell’Arte, non ancora musical) di narrare le vicende di Pippo, fanfarone squattrinato, spiantato, affamato, ma mai disperato, certo che prima o poi la fortuna girerà dalla sua parte e riuscirà ad avere un lavoro, sogno che si realizza ben presto ma nella forma della canonica “troppa grazia”; ne scaturisce la ‘solita’ serie di equivoci che non hanno altro fine se non quello di divertire il pubblico, esito raggiunto appieno, almeno a giudicare dalle risate e dagli applausi tributati nel corso della prima di questo nuovo appuntamento dell’annuale cartellone del Teatro Pubblico Pugliese. Operazione riuscitissima, dunque, grazie – ça va sans dire – alla indiscussa maestria del prim’attore Favino, da noi da tempo considerato uno – se non il – miglior talento nato negli ultimi decenni su italico suolo e che con questo “Servo per due” si candida al ruolo di novello mattatore del nostro teatro, dimostrando di aver mandato a memoria le lezioni non solo, come è naturale vista l’impresa, della Commedia dell’Arte ma anche e soprattutto della farsa, senza disdegnare l’amena comicità dei guitti, da cui ruba le movenze e, soprattutto, la continua interazione con il pubblico, un capolavoro di spontaneità ed improvvisazione che – perdonateci il gioco di parole – non si improvvisa, in cui puoi avventurarti solo se hai molte ed affilatissime frecce al tuo arco, le stesse che Pierfrancesco dimostra di possedere, perfettamente supportato da tutti, ma proprio tutti, gli altri artisti impegnati, a partire dall’eccellente coautore e coregista Paolo Sassanelli, la cui presenza, in luogo di quella annunciata di Ugo Dighero, ci sorprende piacevolmente, che si ritaglia la parte del vecchio cameriere Alfredo, e poi Anna Ferzetti, Luciano Scarpa, Bruno Armando, Giampiero Judica, Diego Ribon, Eleonora Russo, Fabrizia Sacchi, Gianluca Bazzoli, Pietro Ragusa, Roberto Zibetti, Marit Nissen ed all’onnipresente straordinario quartetto dei Musica per ripostiglio. Tanti i momenti in cui si ride e tanto; in tal senso memorabile, da vera antologia del teatro, resterà la scena del pranzo, con un sublime Sassanelli che spesso ruba la scena al protagonista, con cui si chiude il primo atto, in cui gli attori usano tutti i trucchi del mestiere per coinvolgere il pubblico, con tanto di sorpresa che non faremo il torto di svelare nemmeno sotto tortura. Ma è tutto lo spettacolo a funzionare, in un gioco di ambiguità, diversivi e rimandi che non lascia mai intravedere il confine tra realtà e finzione, al punto che il fatto che si citi più di una volta Amleto ci fa supporre – probabilmente sbagliandoci – che possa essere un segnale per il futuro della portentosa Compagnia, un po’ quello che volle fare il buon Kenneth Branagh preannunciando il suo incontro cinematografico con il dubbioso principe di Danimarca con quel gioiellino che è “Nel bel mezzo di un gelido inverno”. Chissà, forse abbiamo galoppato troppo con la fantasia; restiamo all’oggi che ci conviene, visto che il nostro presente è rappresentato da uno spettacolo che ci ha trasmesso una tale euforica positività che lo rivedremmo volentieri anche domani.
Ora che il nostro compito di cronisti è terminato, lasciateci dire tutto il nostro dolore per la scomparsa del Maestro Luca Ronconi, così come ha fatto, in un momento di visibile commozione, lo stesso Favino, che pure ne fu allievo prediletto, a fine spettacolo, con quella dedica seguita dall’annuncio della dipartita che ci colti impreparati, sapendo il grande regista impegnato nella messa in scena della “Lehman Trilogy” di Stefano Massini. Come Pierfrancesco ha giustamente detto, senza Ronconi molto del teatro che ha determinato la formazione di ognuno di noi non ci sarebbe stato; lasciateci solo aggiungere che, dopo la scomparsa della divina Mariangela Melato, crediamo questo sia il colpo più duro che ci sia stato inflitto negli ultimi tempi; permetteteci di pensare che non vi sia spazio più appropriato di questo, in cui si è tentato di celebrare l’impetuosa vitalità del teatro, per rievocare con le nostre povere parole una figura di sì elevato spessore.
Ciao Maestro Ronconi … e Grazie.