Tempo di lettura: 3 minuti
Dietro un meccanismo narrativo in cui il tempo del racconto non coincide con quello della storia, i personaggi de La Serra di Harold Pinter sono i perni dell’azione della trama di un thriller psicologico dai toni grotteschi: atopoi claustrofobici, esistenze isolate, esterni beckettiani ob-sceni che posso essere solo nominati o immaginati, rapporti gerarchici di potere, dialoghi asfissianti che diventano identikit personai fisici o psichici.
La Serra è un testo dalle tematiche impegnative affrontate con apparente leggerezza, i personaggi fortemente caratterizzati dalle azioni, i botta e risposta tipici del Teatro dell’Assurdo. All’interno di un locus di tortura occlusivo (apparentemente un ufficio), Roote il capo e Gibbs la sua spalla destra, discutono sui pazienti di un ospedale psichiatrico vecchio stampo (forse un manicomio) schedati e identificati in codici numerici e privati di ogni identità e facoltà di pensiero.
La drammaturgia del playwriter inglese è andata in scena all’Arena del Sole di Bologna il 23 gennaio, coprodotta da Emilia Romagna Teatro Fondazione e il Teatro Metastasio Stabile della Toscana e con la regia di Marco Plini: una messa in scena che smaschera gli ingranaggi delle manovre dell’inutilità di un potere inesistente e della violenza che soddisfa la sete incontrollata di fanatismo illogico.
La scenografia (di Claudia Calvaresi) ricostruisce l’interno di un ufficio sottolineando le gerarchie di ruolo: il boss ha la sede del suo studio all’interno di una scatola cubica in plexiglass collocata su un livello sopraelevato: una serra per uomini dove i toni si accendono, le temperature corporee si alzano per l’assunzione di troppo whisky o per lo scatenarsi di stati d’ira soffocanti, ma la colpa è sempre attribuita a fattori climatici in loco. Roote (Mauro Malinverno) ha sempre caldo, ma non si può dargli torto: alloggia proprio all’interno di una hothouse, per dirla all’inglese. La fragilità di questo personaggio è delineata dalla mancanza di intelligenza emotiva, dagli squilibrati sbalzi d’umore e dalle paure latenti che emergono nei momenti di tensione.
Il giallo pinteriano si apre quando si viene a scoprire che nel reparto psichiatrico è morto un paziente e una donna è rimasta incinta. Seguono le indagini per la ricerca dei colpevoli (l’omicida e l’uomo che ha ingravidato la donna) attraverso un plot drammaturgico montato a ritroso: dall’evento alla scoperta dei responsabili. Il tutto si traduce in una trappola creata da Gibbs (Luca Mammoli) per incastrare Roote e spodestarlo dal suo compito dirigenziale. Le donne che popolano il dramma (Miss Cuts, interpretata da Cristina Banci) sono figure seducenti a servizio del potere, ridotte a pure silhouette specializzate in pratiche di massaggi e private di facoltà di pensiero e scelta. I pazienti resi ancora più inetti e stupidi sottoposti a pratiche d’elettroshock (è il caso di Lamb, Giusto Cucchiarini), subiscono lavaggi del cervello ridotti a puri numeri senz’anima, mentre soggetti surreali come Lush (Fabio Mascagni) contribuiscono a rendere la storia ancora più satirica.
Il caso si chiude con la morte di tutti i personaggi principali (qualcuno impiccato, qualcuno accoltellato) e il trionfo di Gibbs che con aria compiaciuta soffia il posto al “Sissignor Roote” occupando il suo ufficio.
La Serra di Marco Plini crea un connubio perfetto con la recitazione impeccabile degli attori. Il testo rispettato interamente alla lettera, acquista una maggiore efficacia sul palco: una trasposizione scenica che trasla il pensiero di un grande scrittore di teatro in un gioco teatrale accattivante di cui lo spettatore si sente parte integrante.
Lavinia Morisco