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Uno più uno più uno a volte non fa tre ma ancora uno, così come, del resto, uno per uno per uno a volte non fa uno ma un numero indefinito, molto vicino all’infinito (quello dove si incontrano le rette parallele), elevato alla massima potenza.
Non abbiate paura: il nostro non è un tentativo di fingerci novelli Einstein ma è solo il pensiero che rimbalzava nella nostra mente (a sua volta rimbalzante e saltellante unitamente a tutto il sottostante corpo) mentre assistevamo, assieme ad altri cinquemila pazzi fortunati, all’epico (crepi l’avarizia) concerto tenuto al Palaflorio di Bari da quei tre giganti della musica italiana che rispondono al nome di Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè. E se l’aggettivo non basta a far comprendere il nostro indice di gradimento rispetto alla performance, allora lasciateci dire immediatamente che era da tempo che non assistevamo a qualcosa di tanto divertente, trascinante, convincente, coinvolgente, affascinante, e chi più ne ha più ne metta. Ora, chi ci conosce sa bene quante parole di encomio abbiamo speso negli anni passati nei confronti di ognuno dei tre, assolutamente conquistati dall’ottima musica che, ognuno con le proprie caratteristiche, avevano saputo produrre nel corso della loro carriera; e non essendoci sfuggito nulla dei loro percorsi e della amicizia che li lega dai loro primordi, non eravamo stati per nulla sorpresi dall’annuncio della collaborazione che avrebbe dato vita all’album Il padrone della festa, cosicché andavamo dicendo a tutti che ci era sembrata la cosa più naturale del mondo, un po’ come avvenne quando Fabrizio De Andrè e la Premiata Forneria Marconi decisero di realizzare i fortunatissimi live, riprendendo la vecchia collaborazione della registrazione de La buona novella, quando i tipi della PFM erano ancora I Quelli. Va da sé che Il padrone della festa ci era piaciuto, e tanto; ma davvero non immaginavamo, nemmeno nelle nostre più rosee previsioni, che potesse trasformarsi in un progetto live di tale bellezza. Lo show è geniale sin dalle immagini d’apertura, scene di vita quotidiana che si concludono con il lento cadere di gocce d’acqua che diventano il tempo su cui far partire la chitarra di Alzo le mani, primo brano dell’album anche per scrittura (è partito tutto da lì), con i tre che appaiono all’interno di una scatola (che a Bari ha la fatto le bizze per aprirsi) che potrebbe stare ad indicare il ricordo delle vecchie anguste cantine bazzicate all’inizio del comune percorso ma anche l’enorme baule da cui i tre posso far sortire i loro tesori per condividerli con il loro pubblico; e se è bastato questo per mandare in visibilio il pubblico, tutto a mani sollevate per farsi riprendere dal palco, potete solo immaginare cosa sia stato il Palaflorio per le successive tre ore circa.
Ora magari vi aspettereste che il vostro cronista vi stili una classifica, seppur personalissima, delle forze in campo, che ci si esponga nel dare i voti alle singole esibizioni; ebbene – credeteci – è impossibile: e se, come dice Niccolò sulle ovazioni finali, “quello che vogliamo trasmettere con questo progetto è la potenza del collettivo sul singolo”, allora dobbiamo affermare che il proposito è stato assolutamente realizzato, forse soprattutto perchè è perfetta (sì, perfetta) la commistione tra i tre, al punto che pare ci siano sempre stati tutti e tre insieme su quel palco, supportati da una band sublime capitanata dal mitico Roberto Angelini alle chitarre (soprattutto slide), con Max Dedo ai fiati e non solo, Gianluca Misiti alle tastiere, il nostro Piero Monterisi alla batteria, Josè Ramon Caraballo Armas a percussioni e tromba e Adriano Viterbini alle chitarre. Tutto questo forma un’ideale alchimia che non si materializza solo con i brani estratti dall’album, ben rappresentato da L’amore non esiste, con quel finale beatlesiano che dal vivo è ancora più travolgente, Life is sweet, con il video girato durante il comune viaggio in Sudan voluto da Fabi a supporto del progetto Cuamm (www.mediciconlafrica.org), L’avversario, con Max e Niccolò che, addobbati da pugili, si sfidano, arbitrati da Daniele, a colpi di loro canzoni, Come mi pare e la splendida title track nel bis finale, anticipata da un video in cui uno strepitoso Valerio Mastandrea riprende lo struggente monologo della “Preghiera del clown” che fu del Principe Totò nel film “Il più comico spettacolo del mondo” di Mario Mattoli, ma anche durante l’esecuzione di tutte le perle estratte dagli scrigni personali dei tre che vanno a formare una scaletta figlia di una cernita che – crediamo – non sia stata semplice affatto. Pur non facendo mancare le canzoni nate già in duo, vale dire Vento d’estate e Sornione, se Silvestri non rinuncia ad Occhi da orientale, l’ipnotica A bocca chiusa, Il mio nemico, Testardo, Y10 bordeaux, L’autostrada, che si trasforma nel Corazon espinado di Carlos Santana, Gino e l’Alfetta e Salirò, Fabi sceglie Una buona idea, E’ non è, Costruire (più che una canzone, un manifesto), Capelli, Dica, Rosso, Lasciarsi un giorno a Roma, mentre Gazzè non può privarsi di Timido ubriaco, Il solito sesso, Mentre dormi (la prima strofa la canta Niccolò, probabilmente meglio – ci perdoni Max – dell’autore), L’amore pensato, L’uomo più furbo, Cara Valentina, La favola di Adamo ed Eva, Una musica può fare e la recente sanremese Sotto casa che ci consegna un Palaflorio in cui non c’è un solo spettatore che non salti sulle proprie affaticate gambe. Ci sarebbe ancora tanto da dire ma non crediamo davvero si possano riportare in parole tutte le positive vibrazioni che abbiamo ricevuto da quel palco. Così, alla fine, resta la certezza di aver partecipato davvero ad una festa indimenticabile che, unita alla voglia di rivedere subito i tre all’opera, ci fa coltivare la intima – seppur malcelata – speranza di aver assistito solo alla prima parte di un progetto che – ci e vi auguriamo – possa e voglia protrarsi per ancora tanto, tanto, tanto tempo.
Foto di Fabio Palmisano