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Rocco Papaleo si è fatto trovare all’ingresso del Teatro Traetta di Bitonto con gli amici della sua band a salutare ed accogliere il pubblico. Nessuna operazione di marketing, per carità; e non è nemmeno il caso di scomodare il Living Theatre per dire che si è trattato semplicemente di una operazione di simpatia, calata perfettamente nel tema della serata: la meridionalità.
La stagione del Teatro Traetta, inserito nel circuito del Teatro Pubblico Pugliese, non poteva cominciare meglio. “Una piccola impresa meridionale” è uno spettacolo di teatro/canzone scritto a quattro mani da Papaleo con l’amico Valter Lupo nel 2011 per il teatro. Il film omonimo dello scorso anno ha in comune solo il titolo. Si tratta della stessa operazione di “Basilicata coast to coast”, in teatro nel 2009 e al cinema l’anno dopo. In proposito Rocco ha detto che “amo il cinema, ma ho bisogno del palcoscenico”. Il filo conduttore è sempre lo stesso: quell’essere meridionali che tanto ci distingue per familiarità, calore e umanità e ci porta spontaneamente al contatto umano. Per tutta la serata Rocco intratterrà il pubblico, e in mezzo al pubblico, con uno spettacolo che si consuma ininterrottamente nell’arco di quasi due ore in forma di dialogo, anche se non ci sono domande esplicite che esigono pronte risposte (“tutte le domande si potranno fare e le risposte dovranno essere chiare”) . Il clima è quello della complicità e della condivisione di uno status che viene analizzato con (auto)ironia.
La sintonia è subito stabilita perché “se apri il cofano della Puglia, dentro c’è la Basilicata”; e poi bisogna smitizzare questa storia che la distanza dell’attore dalla platea “fa carisma”. Così l’attore/musicista/regista si mette a nudo e presenta la sua band: i due fratelli Accardo (chitarra e percussioni) e i due cugini abruzzesi (Rondolone al contrabbasso e Valiante al pianoforte). Tutto “made in Sud”. Con loro (“avanzi di balera, di crociera, di galera”) e con il racconto delle loro vite, vero o falso che sia, Rocco gioca e scherza: con loro è nata la “piccola impresa”. Il palco è disseminato di frammenti di luminarie da festa patronale, pezzi di un puzzle immaginario. Ma il vero puzzle è quello che Rocco compone: canzoni, racconti poetici ed esistenziali, storie buffe di vita quotidiana, che è come sfogliare a caso le pagine di un diario, saltando qua e là. E’ bellissima, a tratti poetica, la storia del panino con la frittata che gli preparava la madre (“ma senza mia madre è un panino senza memoria”), o quella del padre che, se la domenica mattina intonava “Fly me to the Moon”, voleva annunciare che sarebbe stato bel tempo. Poi si ironizza su “Stormy Weather” (tempo burrascoso), che può significare anche “tempo appassionato”.
Il coinvolgimento del pubblico è costante e totale quando il cantattore invita qualcuno in sala a suonare una tastiera o quando chiama sul palco una ragazza del pubblico che faccia la parte del suo primo amore, Maria Teresa, incontrata alla festa paesana. La spettatrice sconosciuta che si presta, sale sul palco pimpante e sorridente e quando le chiedono il nome risponde, spiazzando tutti, Rocco compreso: “Maria Teresa”! Le hanno dedicato una serenata.
Così, tra una gag, una canzone e un monologo lo spettacolo scivola via senza interruzioni, con un ritmo sempre vivace e stimolante, in un’oscillazione continua fra reale e immaginario, divertimento e riflessione.
La band è di ottimo livello e partecipa attivamente alla comicità delle scene. Vengono eseguiti “Come vivere”, “La Nazionale femminile della pallavolo”, “La storia di una pietra, “Pillole miracolose”, tutti brani tratti dall’ultimo cd di Papaleo “La mia parte imperfetta”.
Si finisce in gloria con il pubblico invitato a ballare “Torna a casa foca”, diventato ormai parte integrante dello spettacolo, e condotto per mano alla finale risata liberatoria.
Dopotutto “la questione meridionale è tutta qui: uno scarto di fuso orario!”.