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Succede a volte che la poesia di una piccola azione teatrale riesca a far tacere per qualche minuto il rumore di una televisione abituata alle urla. Succede che uno spettacolo fatto di corpi, gesti e poche parole riesca a tenere a bada le luci troppo forti, lo spazio troppo grande e il pubblico troppo ammaestrato di uno studio televisivo. E possa emozionare. Così è accaduto a Renato Curci, attore e regista barese di lungo corso, arrivato con la sua compagnia Santa Rodilla, in finale a “Tu sì que vales”, format di Canale 5 in cui una giuria, capitanata da Maria De Filippi, è chiamata ha eleggere il “talento” italiano dell’anno. I cinque minuti di gloria televisiva non sono che una piccola parentesi in un percorso artistico ben più lungo, iniziato a Bari 30 anni fa e poi portato nelle strade, nei teatri e nei festival del mondo. Un “teatro di liberazione” quello di Renato Curci (come recita il titolo di un suo libro edito da La Meridiana) che nasce dalla profonda convinzione che si possa parlare a tutti e portare al pubblico quella gioia di vivere che è il senso più profondo dell’arte.
Il tuo percorso artistico è iniziato molti anni fa. Come hai cominciato a fare teatro?
Ho incontrato il teatro durante gli anni del liceo e poi ho continuato all’università, grazie a un corso universitario di formazione dell’attore diretto da Carlo Formigoni. Da quell’esperienza è nato Teatro Kismet a Bari. Poi nel 1981 sono andato via, verso Vienna, dove ho fatto base per tre anni portando in giro il mio lavoro di teatro e immagine. Successivamente, grazie all’incontro con il maestro Hugo Suàrez, ho appreso l’arte del mimo, facendola mia attraverso la commistione con vocalità e suono. Assieme a Suarez ho iniziato a sviluppare la tecnica del Titeres corporales, costruendo personaggi e storie attraverso la relazione fra corpo e oggetti: un campo di creatività infinito. Ho sviluppato questo lavoro, estremamente ricco dal punto di vista artistico ma anche didattico, assieme a un clown argentino e a una bravissima attrice e burattinaia peruviana, nucleo fondante della compagnia Santa Rodilla. Mi sono quindi trasferito a Lima e, grazie al grandissimo successo degli spettacoli prodotti con Santa Rodilla, ho iniziato a girare il mondo.
Con i tuoi spettacoli hai girato molto e hai vissuto lunghi periodi all’estero. Quali sono stati gli incontri più importanti in questi tuoi spostamenti?
Sono sempre stato un migrante schizofrenico, ho passato sempre una parte dell’anno all’estero, anche quando ero di base in una città. Sicuramente l‘incontro, anzi il “ri-incontro”, più importante è stato quello con Suarez. Dopo aver lavorato assieme la grande distanza ci aveva fatto perdere di vista. Poi grazie a internet siamo riusciti a rimetterci in contatto e, nel 2003, lui è venuto in Italia e ha visto il mio mimo parlante. Ha apprezzato subito la qualità del lavoro e mi ha proposto di seguirlo a Lima. Io non ci ho pensato due volte. Da là è partito un lungo percorso che mi ha portato nei teatri e nei festival più importanti del mondo. Sono tornato a Bari per questioni familiari e non di certo artistiche.
Negli anni in Perù hai sviluppato il progetto Circoforum. Spiegaci meglio.
Circoforum rappresenta la parte sociale del mio lavoro. Ho sempre avuto l’ambizione di poter arrivare al grande pubblico attraverso l’arte. Èun tipo di intervento che porta il teatro nelle comunità, drammatizzando problemi reali, come la violenza familiare, la povertà. È un’esperienza nata fra le comunità peruviane ma esportabile in qualunque contesto, purché si lavori su argomenti che la gente sente come urgenti e non su quello che chiedono le istituzioni.
Poi l’arrivo in televisione con il talent “Tu sì que vales”. Come è avvenuto?
Facevo cabaret in un locale a Bari e là sono stato notato da un talent scout dell’agenzia Ridens. Sono stato contattato prima da SKY per il programma “Italia’s got talent”. Ho inviato il video completo dello spettacolo perché volevo che si capisse a pieno il tipo di lavoro che proponevo. È stato selezionato. Successivamente anche Canale 5 mi ha cercato per “Tu sì que vales”, siamo andati a fare il casting e anche qui siamo stati scelti. Fra le due proposte ho accettato quella di Canale 5 per arrivare a un pubblico più ampio possibile. La prima esibizione è andata benissimo, lo spettacolo ha emozionato e divertito il pubblico e questo e ci ha permesso di arrivare poi in finale.
Com’è fare teatro in uno studio televisivo?
La cosa più importante è sempre e comunque la relazione con il pubblico. Certo in televisione oltre al pubblico presente in studio ci sono 4 milioni di persone che ti guardano da casa. È una cosa pazzesca e c’è il rischio di farsi prendere dall’ansia. È importante rimanere concentrati e far sì che si raggiunga quel grado giusto di relazione con gli spettatori indispensabile per poter far divertire. Dare allegria è la ragione principale per cui faccio teatro.
Da chi è composta oggi la compagnia Santa Rodilla?
Attualmente con me c’è Carmine Basile, un bravissimo attore clown. L’attrice peruviana parte del nucleo originale della compagnia c’è sempre ma, vista la distanza, è difficile fare assieme tutti gli spettacoli. A sostituirla c’è un’altra bravissima attrice pugliese, Deianira Dragone.
Faresti ancora tv?
Si certo, farei ancora tv ma non come concorrente. Mi piacerebbe farlo come regista e autore. Con il regista Rosario Pucciarelli stiamo lavorando a video di nuovi lavori che utilizzano sempre la tecnica del Titeres corporales. Vogliamo proporli in tv. È un linguaggio poetico che abbatte tutte le barriere di pubblico, capace di parlare a bambini e adulti assieme.