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Se ne andata anche questo Time Zones 2014, la ventinovesima edizione, ma prima di renderci orfani, almeno fino all’anno prossimo, ci ha regalato altre due serate di innegabile spessore, ben suddivise tra jazz, elettronica e rock. Procediamo per gradi.
Il jazz è stato rappresentato dalla performance del pianista e compositore barese Michele Fazio, che, complici il contrabbasso di Marco Loddo e la batteria di Emanuele Smimmo, ha proposto il suo più recente prodotto discografico, “L’acrobata”, lavoro che si lascia apprezzare per un lirismo davvero fuori dal comune cui, purtroppo, non fa eco una più eclettica vena compositiva, di talchè i brani, pur coinvolgendo davvero tanto il pubblico, risultavano un po’ ripetitivi.
Discorso diverso merita il progetto Music for Japanimages nato dalla fervida mente del contrabbassista barese Mike ZonnoCavern of Anti-Matter, trio nato sulle ceneri dei mitici Stereolab di cui può annoverare l’indiscussa mente, il chitarrista Tim Gane, e l’nergico batterista Joe Dilworth che, con l’ausilio del tastierista programmatore Holger Zapf, hanno dato vita ad un interessante progetto che, a nostro modesto parere, appare ancora in divenire, non perfettamente cosciente delle proprie potenzialità e, soprattutto, della strada da percorrere.
Infine il rock, ammesso che si possa chiamare così o anche solo si possa tentare di definire la musica che scaturisce dalla geniale mente di Marc Ribot. Il Trio del chitarrista statunitense, completato da Chad Taylor alla batteria e, soprattutto, dal leggendario Henry Grimes al contrabbasso, la stessa formazione con cui ha pubblicato lo splendido “Live at the Village Vanguard”, ha offerto la ‘solita’ prova maiuscola, forte di quell’interplay inconfondibile e di quell’intuitivo processo creativo che tramuta davanti ai nostri occhi suoni indefinibili in brani di fama planetaria (tra cui abbiamo riconosciuto anche una “While my guitar gently weeps” di harrisoniana memoria) ed, infine, in musica ipnotica; mossi da una straordinaria sensibilità ed un palpabile rispetto reciproco, non è mai del tutto chiaro chi esattamente conduca il gioco, ed è questa una delle frecce migliori all’arco di un gruppo in cui appare lapalissiana la presenza di tre pregevolissime menti pensanti impegnate nel trasformare una semplice formazione musicale in un vero e proprio collettivo, in cui a farla da padrone è la voglia di esplorare i limiti del percettibile, esattamente quello che è accaduto anche nel corso del concerto barese davanti ai nostri increduli occhi e, soprattutto, nelle nostre riconoscenti orecchie, così da consegnarci un finale degno del miglior Time Zones.
In foto Marc Riot