Tempo di lettura: 3 minuti
Ci sono appuntamenti musicali cui non è possibile rinunciare, cui non ci si può sottrarre a meno che non si abbiano spiccate attitudini all’autofustigazione ed all’eterno pubblico ludibrio ogniqualvolta si fosse costretti a pronunciare, a mezza voce, la nefasta frase “io non c’ero”. E non crediate ve ne siano poi tante di occasioni di tale portata; gli eventi di indiscutibile valore sono casi più unici che rari, legati per lo più a personaggi che da tempo hanno smesso di appartenere alla sfera dei comuni mortali e rientrano a pieno titolo tra le leggende, la cui musica ci accompagna ogni giorno ma che, in fin dei conti, non si riesce nemmeno a credere esistano per davvero. Dave Holland e Kenny Barron, per nostra somma fortuna, esistono e continuano a deliziare i nostri padiglioni auricolari versandovi ambrosia di inestimabile valore, pratica che hanno portato con successo a termine anche nel magnifico concerto, inserito nell’annuale cartellone dell’associazione Nel gioco del jazz, che hanno tenuto in una straripante quanto osannante sala del Nicolaus Hotel di Bari.
Ma se le note calde ed i toni rassicuranti del pianoforte di Barron non ci procurano ormai alcuna meraviglia, essendoci peraltro nota la sua impareggiabile arte nel conversare con un contrabbasso sin dal primo ascolto del cd “Night and the City”, capolavoro assoluto che si deve al genio del mai abbastanza compianto Charlie Haden, non possiamo non continuare ad interrogarci sulla infinita versatilità di Holland, in cui potremmo oggi addirittura non riconoscere il bassista che ha partecipato alla creazione di “Filles de Kilimanjaro”, “In a silent way” e “Bitches brew”, i tre indiscussi capolavori del “periodo elettrico” del divino Miles Davis, diventando a sua volta un pioniere della jazz fusion, esplorazione d’avanguardia che ha proseguito nel corso degli anni in tutte le sue formazioni; eppure, a pensarci bene, le attitudini compositive di Holland, che hanno sempre privilegiato le due voci ed i ritmi asimmetrici, non potevano trovare miglior partner di colui che lo affianca dal 2012 in questo fantastico duo che – finalmente – oggi ha dato alle stampe “The art of conversation”, album di indicibile bellezza (da noi già consumato per i continui ascolti) che vede i due mostri sacri del jazz mondiale confrontarsi in una serie di pas de deux strumentali in un mix splendidamente sobrio di standard e composizioni originali in cui è palpabile il rispetto reciproco e la sinergia creativa. Tutto questo, con in più la inenarrabile emozione dell’esperienza live che ci consente di ‘vedere la musica’ crearsi sotto i nostri increduli occhi, si è ripetuto nel corso del concerto barese; se Barron ci deliziava con le sue “Seascape” e “Calypso”, Holland ci incantava con le sue “The oracle”, “Waltz for Wheeler (dedicated to Kenny Wheeler)” e la splendida quanto sognante “In your arms”, anche se non possiamo non menzionare l’esecuzione del capolavoro di Charlie Parker “Segment” in cui si palesava chiarissimo il profondo rispetto per la composizione originale e, nel contempo, la fortissima volontà di farla propria.
Intendiamoci: è sempre buon vecchio jazz, affrontato secondo lo schema tradizionale (esposizione tema; solo pianoforte; solo contrabbasso; tema finale; coda), ma che gioia poterne finalmente godere ad un punto tale di perfezione che finalmente ci ha fatto comprendere il senso delle parole del grande Vinicius de Moraes quando affermava che “la vita, amico, è l’arte dell’incontro”.
Foto di Quatermass