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Consigliere di Stato e magistrato oltre che direttore scientifico della Dika Giuridica Edizioni. Ma non solo. Francesco Caringella, barese trapiantato a Milano, è anche apprezzato autore di legal thriller, genere reso celebre dai best seller di Grisham ma poco battuto dalla letteratura Italia. Dopo il fortunato esordio nel 2013 con “Il colore del vetro” da pochi giorni è nelle librerie il suo secondo romanzo, “Non sono un assassino” pubblicato da Newton Compton. Ancora una volta sfondo della vicenda è un’aula di tribunale, dove, addentrandosi fra le pieghe di un processo, Francesco Caringella conduce il lettore a interrogarsi sulla linea sottile che divide verità storica e verità processuale ed a guardare, questa volta con gli occhi dell’imputato, quella grande commedia – o tragedia – umana costituita dalla ricerca di colpevoli e innocenti .
La storia parte dal ritrovamento di un corpo, quello del sostituto procuratore Giovanni Mastropaolo che, in una mattina d’autunno viene ritrovato dalla domestica nel suo studio, riverso sulla scrivania, ucciso da un colpo di proiettile. Non si tratta di un omicidio di malavita, come si potrebbe pensare. Gli unici indizi presenti portano ad accusare un suo vecchio amico, il vice questore Francesco Prencipe che dall’interno del carcere di Potenza dovrà lottare per gridare la sua innocenza.
Cosa spinge un magistrato a intraprendere la strada della scrittura narrativa? Cosa le dà la scrittura che la sua professione non può dare?
Con una sentenza tu scrivi quello che sai mentre in un romanzo scrivi quello che sei. Il romanzo è l’autore stampato su carta, ha detto Oscar Wilde. Scrivo per conoscermi e per farmi conoscere. E’ come sdraiarsi sul lettino di uno psicologo:da quando mi sono cimentato con la letteratura ho compreso debolezze e fragilità che non sospettavo di possedere.
Nel suo primo libro prende il punto di vista del giudice, in questo nuovo romanzo quello dell’imputato. L’aspetto umano e psicologico le interessa più del ruolo? E come si ribalta la prospettiva?
Non sono un assassino è un legal thriller anomalo. Mi è piaciuta l’idea di affrontare il mistero del delitto e del processo con l’occhio del presunto colpevole. I gialli italiani sono prevalentemente investigativi in quanto mettono al centro l’investigatore che come un superuomo risolve l’enigma, fa cantare il colpevole e lo porta impacchettato al processo. Nella vita reale non è così: i gialli si risolvono in processi che sono a loro volta dei gialli. Il punto di vista dell’imputato è fantastico per portare il lettore in un’aula di corte d’assise e, prima ancora, nella cella di un carcere cheinghiotte un uomo e lo trasforma in un pacco di nessun valore.
Il romanzo descrive nel dettaglio un processo, delineandolo come una commedia in cui tutti recitano una parte e in cui vince chi sa meglio mentire. È davvero così?
Il pericolo principale per un giudice, chiamato per lavoro ad accertare la verità al fine di emettere un responso giusto, è cadere nella trappola di menzogne architettata dai protagonisti del giudizio. Nel processo, pur se in misura diversa, mentono tutti. Anche l’imputato innocente, il testimone in buona fede, la persona offesa non accecata dall’acredine, tutti dicono bugie perché il tempo ha illanguidito i loro ricordi o perché non vogliono rivelare aspetti miserabili della loro esistenza o, ancora, perché desiderano essere creduti raccontando una menzogna più verosimile della verità. Il giudice dovrà superare indenne questo pantano putrido esaminando le prove e guardando i fatti con la lente giusta.
Nella scheda di presentazione del suo libro scrive che fra realtà e menzogna c’è un filo sottilissimo. Come deve muoversi un giudice su questo confine così incerto?
Un giudice degno di questo nome non deve mai prendere una dichiarazione testimonialeo di altra natura per oro colato o come carta straccia ma la deve sottoporre a una verifica di coerenza intrinseca e di conferma estrinseca alla luce delle ulteriori risultanze obiettive. In caso di superamento di questoduplice vaglio la deposizione sarà attendibile. In quest’operazione di disamina e verifica occorre evitare il rischio insidioso del pregiudizio o della pre-convinzione, ossia la possibilità di essere preventivamente influenzati, in senso positivo o negativo, da aspetti emotivi e soggettivi, quali il grado di cultura, l’avvenenza estetica, l’abilità oratoria, la notorietà del soggetto, la militanza politica, le convinzioni religiose, le abitudini sessuali e, soprattutto, iprecedenti penali.
La verità storica e la verità processuale non sempre coincidono. In questi giorni l’opinione pubblica è scossa dalla sentenza sul caso Cucchi. Lei cosa ne pensa?
Un romantico spagnolo, Duque De Rvas, ci ricorda che “in questo mondo traditore non esiste verità né menzogna, tutto diede dal colore del vetro attraverso cui si guarda”. Tutto qui. Il giudice deve capire che a lui non spetta accertamento della verità assoluta e certa, ma di quella relativa. Gli compete la verità processuale che emerge dalle carte. Se gli atti del giudizio non condurranno a risultati inoppugnabili soccorrerà la regola di civiltà giuridica che impone assoluzione per insufficienza di prove. Non conosco le carte del caso Cucchi. Devo pensare che la Corte d’Assise d’Appello, pur avendo la convinzione della commissione di un reato, non abbia trovato prove inoppugnabili a carico dei singoli soggetti chiamati alla sbarra. Per condannare non basta sapere che un soggetto appartenente ad un gruppo ha ucciso, occorre sapere senza alcun dubbio chi, nell’ambito di quel gruppo, si è macchiato del sangue della vittima.
Scriverà altri libri ambientati in aule di tribunale o vorrà cimentarsi con altri generi?
Il prossimo libro sarà ancora un giallo giudiziario ambientato in un tribunale, esplorato, però, con un occhio diverso, davvero insolito. Preferisco non anticipare altro. Poi mi piacerebbe evadere, magari per una sola volta, dal pianeta giudiziario, per cimentarmi con una storia d’amore o una saga familiare o, ancora, chissà, un romanzo generazionale.
Lei è pugliese ma ha lasciato giovanissimo la sua città. Che legame c’è con la sua terra d’origine?
I mie romanzi sono tutti ambientati a Bari perché, come ho detto prima, si scrive sempre quello che si è. E io resto barese anche se non vivo a Bari da troppi anni