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Donato Carrisi è un maestro nel condurci nelle zone più oscure sia dell’animo dei suoi personaggi, sia del mondo che ci circonda e, in questo senso, il titolo «Il cacciatore del buio» è già una bella etichetta. Questa volta poi lo fa con una costruzione a scatole cinesi, a delitti che si susseguono a sorpresa quasi uno dentro l’altro, e assieme con un racconto a puntate che in fondo è l’erede del romanzo d’appendice, con inizi e fini che ogni volta lasciano in sospeso molte cose, compresa la curiosità del lettore. Se dopo «Il suggeritore», romanzo d’esordio e di partenza di un successo che ha portato questo scrittore a vendere in cinque anni oltre un milione di copie dei suoi libri, torna a quei protagonisti in «L’ipotesi del male», da Mila Vasquez, con tutti i suoi gravi disturbi e insicurezze, e Goran Gavila, in quest’ultimo romanzo riappaiono, presi da «Il tribunale delle anime», Marcus, il prete penitenziere criminologo cacciatore del buio, e Sandra, la poliziotta fotografa di scene del crimine, attenta a individuare i dettagli fuori posto, il vuoto in cui si nasconde una verità. Marcus riappare a Praga, ricoverato in ospedale per un proiettile che gli ha forato una tempia e gli ha fatto perdere la memoria e la coscienza di sè, di chi fosse, almeno fino a quando non arriva qualcuno, padre Clemente, che dice di conoscerlo e di poterlo aiutare, se lui lo vorrà, se avrà la curiosità e il coraggio di tornare indietro, invece di approfittare della sua condizione per una fuga in avanti, verso una vita nuova. È così che Marcus torna a Roma e riprende il suo antico lavoro di padre penitenziere, che sulla sua strada rincontrerà la bella fotografa, con tutti i suoi problemi personali, verso cui forse prova qualcosa.
La rincontra tra il corpo di una suora di clausura fatto a pezzi in un boschetto nei giardini vaticani, una coppia di giovani assassinata e torturata nella pineta di Castelfusano dove si sono appartati, un poliziotto ucciso con un colpo al petto, e così via. Tutto questo tra sette sataniche e club clandestini per festini di personaggi perversi e sadici, tra un medico legale, il dottor Astolfi, dalla doppia vita, che si suicida per non confessare i suoi segreti (e soprattutto i suoi complici), e il Vaticano, con la sua gerarchia verticistica e misteriosa. Del resto qui c’è chi si fa il segno della croce al contrario, chi sussurra «Hic est diabolus», poi un sorta di neonazista più o meno pentito e un uomo che si sente in dovere di arrivare subito dalle Filippine, perchè al centro delle indagini c’è, tra l’altro, un «bambino di sale».
Una scrittura diretta e precisa, noir senza compiacimenti, capace di far vedere, quella di Carrisi, che scopre i misteri che nasconde una città come Roma, di cui descrive anche le bellezze solari e le curiosità della storia, accanto alle notti insanguinate e all’ombra di un presunto serial killer, in un bel gioco narrativo di contrasti alla rincorsa di una verità che ogni volta appare qualche passo più in là e sempre peggiore, più gravida di pericoli e minacce.
DONATO CARRISI, «IL CACCIATORE DEL BUIO» (LONGANESI, pp. 410 18,60 euro).