Tempo di lettura: 2 minuti
Il regista Elia Kazan paragonava la condizione del critico a quella dell’"eunuco nell’harem che passa il suo tempo a contemplare quel che gli è precluso e proibito": è la definizione che ama citare Morando Morandini, pensando alla sua passione di una vita, il cinema, e che il critico ripete oggi, alla vigilia del 90/o compleanno, che cade il 21 luglio. È nato a Como nel 1924 e Milano, dove vive, lo festeggia assegnandogli l’Ambrogino d’Oro.
Oggi il nome Morandini è diventato popolare grazie al Dizionario dei film e delle serie tv, edito da Zanichelli dal 1999 e che porta il suo nome, curato da lui stesso, con la moglie Laura sino alla sua scomparsa, e la figlia Luisa, anche lei critico cinematografico. Ogni anno l’opera viene aggiornata e Morandini ancor oggi assiste quotidianamente alla proiezione delle novità cinematografiche, rivedendo e ripensando i suoi giudizi su film già recensiti.
Nel mondo del cinema e della cultura il nome di Morandini è però sinonimo di qualità, di impegno e di una visione personale a partire dagli anni ’50, quando scrive per il quotidiano ‘La Nottè (dal 1952 al 1961) che dedica molto spazio agli spettacoli e crea la pagina ‘Dove si va staserà. E su quel quotidiano che comincia a usare, accanto alla critica, una sintesi in stelline, cui aggiungerà poi i pallini, quale sintesi del successo di pubblico. Il suo ruolo cresce poi e acquista una posizione centrale nel panorama della nostra critica cinematografica col suo arrivo a ‘Il Giornò (dal 1965 al 1998) che punta proprio su cultura e spettacolo, svecchiando di colpo un certo stile da terza pagina.
"Sono un razionale emotivo", dice di sè Morandini, un ossimoro che traspare nelle schede del dizionario: sintesi puntuali, precise ma ricche di argute e taglienti osservazioni, come in tutta la sua attività di una vita. Nel 1995 ha pubblicato ‘Non sono che un criticò, libro autobiografico di riflessioni sul proprio lavoro e sul ruolo del critico in cui viene messa a fuoco l’idea che la critica sia una forma di scrittura in cui il soggetto che scrive scopre, attraverso la visione del film e le emozioni che esso suscita, innanzitutto se stesso, la propria sensibilità di spettatore e di essere umano. Messo alle strette in una recente intervista, finisce per confessare: "Per dirla secca, sono nato al cinema con i film francesi degli ultimi anni ’30. I miei idoli erano Jean Gabin, Arletty, Michèle Morgan. E Gary Cooper tra gli attori americani. Tra le attrici la Davis, la Hepburn, Carole Lombard. E Dorothy Lamour di cui mi innamorai col tramite di John Ford in Uragano (1937). Ford e Hawks erano i miei director preferiti, ma ricordo che mi lasciai incantare da Winterset (Sotto i ponti di New York, 1936) di Al Santell e rimasi sconvolto da Delitto senza passione (1934) di Ben Hecht". E poi aggiunge: "Sono andato fuori dai sentieri battuti sin dall’inizio, grazie a una passione precoce per il cinema, se a 12 anni leggevo sul Corriere le critiche di Filippo Sacchi, per passare poi al settimanale ‘Film’ di Doletti e approdare alla rivista ‘Cinema» al liceò.
Morando Morandini è anche autore di diverse monografie su celebri registi (S. M. Ejzentejn, B. Bertolucci, J. Huston, ecc.), e con G. Fofi e G. Volpi è stato coautore di una Storia del cinema (4 voll., 1988). Nel 1998 ha ricevuto il premio Ennio Flaiano.