Tempo di lettura: 4 minuti
“Non i veleni, le bombe o le scorie radioattive devono essere l’eredità che lasciamo ai nostri figli, ma l’esempio, la determinazione, le storie di chi al mare ha saputo donare se stesso trovando una nuova ragione di vita”. Così chiude il suo terzo libro Nicolò Carnimeo, docente di Diritto della Navigazione all’Università di Bari, scrittore e giornalista, ma soprattutto profondo conoscitore e studioso del mare. Ruba il titolo a una delle più belle canzoni di Lucio Dalla “Come è profondo il mare” (Edizioni Chiarelettere), un viaggio nel mare che non conosciamo, un inchiesta serrata che ci aprire gli occhi sullo stato di salute delle nostre acque. Sviluppando la narrazione attorno a tre reportage, Nicolò Carnimeo pone l’attenzione su tre grandi mali che umiliano il mare: la plastica, il mercurio, il tritolo. Una ricerca puntuale e documentata su cosa inquina “la più grande discarica del pianeta”ma anche un invito a non arrenderci e a lottare per riprenderci la bellezza del nostro mare.
“Come è profondo il mare” è un libro con molte anime, in cui si rintracciano più percorsi di lettura. Da dove nasce questo lavoro?
Questo libro è innanzitutto una storia di incontri con personaggi straordinari che hanno dedicato la propria vita al mare.Ho raccontato le loro storie perché ci aprano gli occhi su quello che stiamo perdendo.Il Garbage Patch, la prima isola di plastica di cui abbiamo avuto conoscenza, è stata scoperta grazie a Charles Moore, un falegname californiano che a 60 anni ha investito i risparmi di una vita per realizzare i suoi ideali di tutela dell’ambiente. Ho avuto l’onore di incontrare Moore durante la stesura del libro e di ascoltare dalla sua voce la storia di come abbia deciso di abbandonare la sua vita precedente, acquistare un catamarano e dedicarsi al mare. Raccontare dell’isola di plastica è un occasione per raccontare dell’isola che non c’è. Tutti noi non ci rendiamo conto di quello che ci accade attorno. Se Charles Moore non avesse inseguito la sua passione oggi non sapremmo nulla delle enormi isole di plastica che abitano il mare. Ognuno dei personaggi incontrati ci insegna che, quando c’è la ferma volontà di realizzare qualcosa, il destino ci aiuta e ci porta nel posto giusto.
La plastica, il mercurio, il tritolo, i tre elementi che avvelenano il nostro mare, sono anche metafore per parlare di altro: la plastica rappresenta la nostra non consapevolezza del mondo in cui viviamo, il mercurio ci insegna come tutto quello che causiamo alla natura ci ritorna e ci tocca direttamente, il tritolo è la metafora dell’eredità che la storia lascia nel mondo.
Questo libro è il racconto di un viaggio, è una denuncia, è una presa di coscienza. Soprattutto questo libro nasce dalla voglia di far cadere il paraocchi e di far capire come l’economia che governa il nostro sistema non sia più sostenibile così com’è.
Il libro racconta di una realtà spesso lontana dagli occhi, non percepibile, ma chetocca tutti direttamente. In che modo? E come possiamo tutelarci?
A livello alimentare siamo sicuramente tutti esposti. I monitoraggi effettuati dallo staff di Moore nel Pacifico hanno rivelato come i pesci e le altre creature marine non riescano più a distinguere le micro particelle di plastica che infestano i mari:vengono scambiate per plancton e ingerite, entrando nella catena alimentare e giungendo fino all’uomo. Alivello paesaggistico avviene la stessa cosa, la sabbia è diventata di plastica inglobando elementi che non fanno parte della natura. Nel Mediterraneo l’emergenza è legata ai metalli pesanti e al mercurio che contaminano il pesce che arriva sulle nostre tavole. Non c’è ancora informazione sufficiente su questo ma i rischi sono altissimi, soprattutto per categorie sensibili come donne gravide e bambini. Sarebbe un errore generare un allarme, tuttavia è importante essere informati il più possibile e adottare comportamenti alimentari corretti, ad esempio limitando il consumo di pesci come tonno e pesce spada che presentano una concentrazione di metilmercurio più alta.
È una situazione irreversibile o è ancora possibile intervenire?
Innanzitutto dobbiamo comprendere la necessità di recuperare un rapporto con la natura, dobbiamo ristabilire un equilibrio fra uomo e ambiente, partendo dalla ferma convinzione che non siamo al di sopra della natura e che non possiamo piegarla alle nostre necessità senza conseguenze. Dobbiamo imparare ad ascoltare i segnali che l’ambiente ci sta dando.
È importante poi investire nella ricerca scientifica, proprio grazie alla ricerca ad esempio sono stati scoperti piccoli batteri “mangiaplastica”, microrganismi capaci di distruggere i materiali plastici presenti in mare. È un percorso lungo e complesso, solo alimentando la ricerca scientifica sarà possibile trovare soluzioni che aiutino a cambiare la situazione. Dobbiamo poi limitare al massimo l’utilizzo della plastica usa e getta. Anche a livello europeo ci sono chiare direttive che vanno in questo senso. Dobbiamo capire che tutto quello che produciamo non deve essere scartato ma deve prendere nuova forma. Il mare, la natura ci insegnano come tutto si rigenera, tutto diventa altro, non esistono scarti. Dobbiamo imparare dalla natura, se non facciamo nostra questa nozione fondamentale non salveremo mai il nostro pianeta.
Come ha iniziato questo percorso professionale? Cosa l’ha portata a fare del mare il suo principale oggetto di studio?
Innanzitutto la passione. Non c’è un momento preciso in cui mi sono avvicinato al mare, il mare lo devi cercare. Io ho avuto la fortuna di fare di questa mia grande passione una professione. Ho lottato per questo. Costa molto di più intraprendere questa strada, scegliere di lavorare con le proprie passioni è faticoso ma sicuramente tutto acquista un senso fortissimo.
A cosa sta lavorando ora?
Ora sto lavorando a un romanzo. Quest’ultimo libro mi è costato molta fatica e molto dolore, ho deciso di dedicarmi a qualcosa di diverso.