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Un titolo apparso il 2 gennaio u.s. su LSDmagazine augurava: “Buon compleanno alle Radio Libere…splendide quarantenni”. Come ricorda Michele Traversa, nel suo articolo, furono definite, nel loro periodo eroico (fra gli anni ’70 e ’80), “radio libere” quelle radio che, in tutto l’Occidente, ebbero il merito di dichiarare guerra al monopolio pubblico, sulla scia dei vittoriosi arrembaggi che, sin dagli anni ’60, avevano condotto quelle che venivano chiamate, a giusta ragione, “radio pirata”.
Col tempo, le radio libere, planate su territori più commerciali, persero l’allure rivoluzionario e finirono col diventare semplicemente “radio private”.
Correva l’anno 1975 e, se ben ricordo, eravamo nel periodo delle festività natalizie, quando fu messa a tacere BARI RADIO UNO, una delle prime radio dell’etere pugliese (oggi, credo siano un centinaio). Bari Radio Uno, «la prima a Bari, la sesta in Italia», come recitava lo slogan che veniva trasmesso durante gli stacchi, dal 29 agosto aveva iniziato, per circa 12 ore giornaliere, a trasmettere, in modulazione di frequenza (onde corte) sulla banda 102 MHZ, notiziari, musica, sport e inchieste. Reduci dalle vacanze, imminente l’apertura della Fiera del Levante, molti baresi non se ne erano neppur accorti.
Ci volle il provvedimento di sequestro dell’autorità giudiziaria, eseguito dalla polizia postale, su richiesta della direzione compartimentale delle Poste e Telegrafi, perché tutti, privati cittadini, giornali, partiti e organizzazioni politiche, scoprissero questa emittente politicizzata.
Il Comitato di redazione, diffuse un proprio ciclostilato, in cui si definiva l’attività dell’emittente “una esperienza di informazione democratica e pluralista” e si rivendicava “un’impostazione differente e alternativa, sia alle altre radio sorte in Italia in questo periodo, sia ai canali tradizionali di informazione”. Nel documento veniva, soprattutto, evidenziato che l’autogestione “si è esplicata affidando a consigli di Quartiere, circoli culturali, enti locali, giornali e in genere a tutte le forze sociali uno spazio concreto, perché riteniamo che il nostro impegno non deve tendere alla rottura del monopolio, ma alla sua decentralizzazione democratica”. I redattori, “pur consapevoli, fin dall’inizio (…), di essere considerati dei fuorilegge, passibili di provvedimenti giudiziari” lanciavano la proposta di una giornata di mobilitazione, esprimendo preoccupazioni sia per i lunghi tempi necessari “a rivedere il procedimento giudiziario” a causa delle ferie natalizie, sia per la compromissione delle “libertà costituzionali sancite dall’art. 21 e dalla carta dei diritti dell’uomo”.
Era accaduta la stessa cosa, qualche tempo prima, anche a Telebari, che però, nel frattempo, aveva ripreso le trasmissioni.
La Gazzetta del Mezzogiorno informava che i giovani facenti parte dell’équipe della Radio, assistiti dagli avvocati Enzo Augusto, Bruno Volpe, Eugenio Porta e Mario Russo Frattasi, si sarebbero incontrati, al più presto, con il pretore che aveva disposto il sequestro, il dott. Michele Cristiano, per cercare di ottenere l’invio degli atti alla Corte costituzionale, la quale, a breve, si sarebbe dovuta occupare della questione delle emittenti libere italiane.
Radicali, Lotta Continua e Partito Comunista emisero subito i loro comunicati, prendendo decisamente posizione. I Comunisti baresi espressero la loro solidarietà ai responsabili e ai collaboratori della Radio “nel momento in cui viene loro impedito di proseguire nelle trasmissioni mentre il medesimo rigore non si manifesta verso iniziative radiotelevisive con ben altro, e più ristretto, respiro democratico”, ma, nel contempo, non nascosero “la preoccupazione e il dissenso del partito di fronte al proliferare di emittenti cosiddette libere che, se sono la conseguenza dell’insoddisfazione per i ritardi intollerabili con cui avanza il processo di applicazione della riforma della Rai-Tv, tuttavia si inseriscono oggettivamente in una strategia che vede forze potenti impegnate nel tentativo di ottenere la fine del monopolio pubblico radiotelevisivo al fine di aprire spazi all’iniziativa dei grandi gruppi economici”. Il P.C.I. si diceva convinto che “non saranno le radio libere, malgrado le buone intenzioni dei loro promotori e la loro salda coscienza democratica, a rafforzare la libertà di informazione” e che “bisogna battersi perché la Rai-Tv sia lo specchio di un Paese che è cambiato e vuole ancora cambiare, e non portavoce di un partito politico o delle sue correnti”. Veniva reclamato il diritto “di contribuire alla programmazione nazionale” e di “accesso all’informazione radiotelevisiva nell’ambito del monopolio pubblico”. Nello spirito della c.d. Riforma Rai-Tv di quegli anni, sono, invece, i grossi partiti ad occupare l’etere e a dividersi lo spazio dell’informazione; sarebbero nati, nel 1979, il terzo canale televisivo della RAI e Telekabul, gestiti dal Partito Comunista Italiano (il primo e il secondo canale erano amministrati rispettivamente dalla D.C. e dal P.S.I.).
Lotta Continua distribuì il 23 dicembre un ciclostilato nel quale stigmatizzava l’azione repressiva, nei confronti di Bari Radio Uno, come “un attacco feroce alle libertà democratiche di informazione, di stampa e di pensiero, sancite dalla Costituzione”, aggiungendo: “Si è voluta chiudere una radio che non era sotto il monopolio democristiano e governativo, una radio che era libera perché libera dai centri di potere, dalle pressioni economiche e padronali, dalla sudditanza ideologica ad una informazione di parte. (…) Il potere democristiano vuole dare l’impressione che la città di Bari è una città morta, in cui non c’è iniziativa né politica né culturale, mentre questo è falso e Radio Bari lo dimostra ogni giorno”.
Ma perché Bari Radio Uno era stata chiusa? Ad essere illegittimo, come ben sapevano i promotori, era il tipo di trasmissione dei suoi programmi, che avveniva via etere e non via cavo, unica modalità che la legge del 1974 aveva consentito al di fuori del monopolio RAI. In effetti, i responsabili della stazione radio, in gergo giudiziario, erano indiziati di reato per installazione ed esercizio abusivo di impianto di comunicazione radiofonica. Solo nel 1976, infatti, con un’altra legge, i privati furono autorizzati a trasmettere via etere limitatamente all’ambito locale, proprio perché molti, essendo la trasmissione via cavo un mezzo molto costoso, avevano già iniziato a trasmettere via etere illegalmente.
A margine della vicenda Bari Radio Uno e del sollevamento di scudi che aveva provocato, auspicando, comunque, la sollecita revoca del provvedimento cautelare e la riapertura di Bari Radio Uno, annotavo in un mio corsivo dell’epoca: “Se a tutti sta effettivamente a cuore il pluralismo dell’informazione radiotelevisiva, aboliamo, tanto per cominciare, il monopolio pubblico della Rai-Tv, facciamo sì, seriamente, che questo Ente di Stato sia espressione di un sempre più articolato pluralismo, dando a chiunque libero accesso al mezzo radiotelevisivo, e contemporaneamente permettiamo il nascere di libere antenne, dando completa attuazione all’art. 21 della Costituzione. Non è detto poi che queste libere antenne non possano essere, a loro volta, portatrici, oltre che di ristretti ed egoistici interessi, anche di autentica democrazia dell’informazione”. E, sapendo che presto sarebbe toccato di nuovo alla Corte costituzionale (investita degli atti processuali, in circostanze analoghe, da parte dei magistrati di diverse città italiane) pronunciarsi sul grave problema che ponevano le emittenti libere, mi chiedevo, allora, se, dopo il pronunciamento della Corte, sarebbero state abrogate, finalmente, le norme in contrasto con l’art. 21, oppure se, con cavillose disquisizioni giuridiche, il diritto costituzionale alla libera manifestazione del pensiero avrebbe trovato nuovi e pericolosi limiti.
Siamo arrivati, nell’epoca della democrazia internettiana, a una pluralistica e multiforme produzione radiotelevisiva, che, oggi, se non poggia sul mero volontariato, un po’ arranca, a causa della crisi economica e della spietata concorrenza commerciale, che tolgono ossigeno ai più piccoli.
Abbiamo visto perché Bari Radio Uno, nel 1975, fu temporaneamente chiusa per due mesi circa. Ma perché e come nacque questa emittente, che perseguiva contenuti di sinistra? Nacque, nell’epoca degli “opposti estremismi”, non sappiamo per quale vero motivo e per quale ispirazione, per volontà dei dodici apostoli, come erano soprannominati i rampolli della c.d. Bari Bene che, mettendo di tasca propria circa un milione di lire a testa (così si racconta), acquistarono trasmettitore, piastre giradischi, microfoni, dischi, arredi, suppellettili e l’antenna a tre dipoli e misero la sede della Radio in un condominio al civico 35 di via Bozzi (nei pressi dell’Acquedotto pugliese). Ho ancora appuntato il numero telefonico della redazione: 218899. Dell’équipe faceva parte Giuseppe Garibaldi (no, non l’eroe dei due mondi!) e, forse più tardi, Felice Laudadio (il giornalista cinematografico, fondatore e direttore del Bif&st), Erio Cristi (il conduttore e autore del programma satirico Tarazum) e… un cane, un grosso cane dal pelo nero e arruffato, adottato come mascotte con il nome di Bruno. Sì, Bruno: B come Bari, R come Radio… UNO come… Uno.
Alla fine del 1977 la Radio cambiò padrone. Non sappiamo che fine fece Bruno.
Si accomodò pure lui all’uscita, seguendo la voce dei suoi vecchi padroni, o rimase a lavorare alla radio? Non troviamo riscontri nelle cronache della Gazzetta.