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Ci sono luoghi dove il tempo pare scorrere più lentamente che altrove. Luoghi dove nemmeno il turismo ha deformato la reale ed autentica natura dell’animo delle persone. Dove un caffè nella piazza centrale del paese continua a costare il giusto prezzo, senza speculazioni. Dove le vecchine vestite di nero si inerpicano nei vicoli lastricati ed in salita, più agili di tanti turisti con attrezzature da trekking.
Questo (e molto altro) è la Basilicata (o Lucania, come fu chiamata dal 1932 al 1947), piccola regione montuosa dove vivono 600mila persone (anche se sono più quelle residenti fuori dai confini). Tra le più rurali e con il più basso tasso di natalità d’Italia, ha fortissimi legami con la vicina Puglia, anche nei nomi delle località. Basti pensare che uno dei parchi lucani più belli si chiama Gallipoli Cognato e che una delle località turisticamente in maggior spolvero (grazie al vicino Parco Grancia) è Brindisi Montagna. Nell’omonimo porto pugliese, infatti, sbarcarono i greci della città di Corona (con la quale la Brindisi lucana è tuttora gemellata) che ripopolarono il paese dopo il disastroso terremoto del 1456. Ad 800 metri sul livello del mare, questo piccolo borgo arroccato sulla montagna, è abitato da appena 931 persone. Ci si conosce tutti e a scuole le classi (spesso composte da cugini e fratelli) vengono accorpate per raggiungere un numero congruo di alunni. Nell’Alto MedioEvo fu sede dei monaci basiliani che si trasferirono nella badia di Santa Maria dell’Acqua Calda, così chiamata per la presenza di acqua termale. La badia divenne poi una grande azienda rurale condotta da monaci laici. Di domenica può capitare di assistere al laboratorio del miele: gli apicoltori del porto spiegano a grandi e piccini le abitudini delle api e le tecniche di raccolta a metà strada tra tradizioni ed innovazioni tecnologiche. Anche la piazza centrale è a misura di borgo: intima ed alberata, vede primeggiare la Chiesa Madre dedicata a San Nicola di Bari con pregiati coro e trono lignei del Settecento. Risente dell’influsso greco, invece, la piccola chiesa dedicata a San Vincenzo: stucchi bianchi, cornici celesti e maioliche sopravvissute ai terremoti.
A pochi chilometri da Brindisi, nel cuore della foresta scoscesa e dalla vegetazione fitta, sorge il Parco Grancia, uno dei pochi storici, rurali ed ambientali. Qui d’estate, tre sere alla settimana, “La storia bandita” dei briganti rivive dinanzi agli occhi esterrefatti di migliaia di spettatori. Oltre 400 tra figuranti e danzatori, cavalli, asini, buoi, fuochi pirotecnici, giochi di luce, effetti a cinque dimensioni e 600 riflettori rendono questo spettacolo unico ed emozionante, un film dal vivo. La scenografia riproduce un villaggio d’altri tempi ed, a fare da sfondo, c’è la montagna con le sue rocce ed i suoi alberi. Gli stessi luoghi, dunque, dove i briganti (bollati dalla storia con questo nome infamante), capeggiati da Crocco e Caruso, si nascondevano nel periodo post-unitario. Non delinquenti ma orgogliosa gente del posto, stanca dei soprusi del signore di turno. “Libertà non è cambiare padrone” dice Crocco, tradito dall’amico Caruso per una donna e venduto agli stessi nemici che gli avevano ucciso il padre e malmenato la madre incinta. E’ per vendicarli che comincia a “vivere come una serpe, che se non la si stuzzica non morde”. Lo spettacolo è impreziosito dalle voci di Michele Placido ed Orsa Maria Guerrini. Il direttore artistico è Jean-Francois Touillard ed a Victor Rambaldi è stata affidata la regia di scena. Colonna musicale firmata da Antonello Venditti e Lucio Dalla. Un crescendo di eventi durante la giornata al parco. Si potrà partecipare a visite guidate a falconeria e fattoria degli animali, tirare con l’arco in un accampamento medievale o assistere alle acrobazie di aquile, condor e falchi. Il parco è anche sapori tipici: da assaggiare la ciambella ricoperta di cioccomiel (crema di cioccolato bianco e miele biologico) e la zuppa di legumi nella suggestiva “Taverna della Posta”. Calendario e tariffe sul sito parcograncia.it
A 27 km si incontra uno dei borghi più belli d’Italia: Castelmezzano. Ancora più piccolo di Brindisi Montagna, con i suoi 873 abitanti, fu fondato dai Normanni che sulla vetta costruirono un castello scavato nella roccia. Il nome deriva proprio da quest’ultimo: Castrum Medium, castello di mezzo, per via della sua posizione tra quelli di Pietrapertosa ed Albano. Con angioini ed aragonesi visse un periodo di declino e povertà che culminò nel brigantaggio prima e nell’emigrazione oltreoceano dopo. Il borgo offre un panorama mozzafiato. Piccoli sottopassi si alternano a vicoli in pendenza sui quali si affacciano balconi fioriti e panni stesi. Nonostante le piccole dimensioni, Castelmezzano ha molte chiese, ognuna con una storia ed una leggenda. Da non perdere la Chiesa madre di Santa Maria dell’Olmo del XIII secolo, ricca di altari in marmo donati dagli emigrati negli Usa. I rintocchi delle sue antiche campane (una risale al 1666) scandiscono il tempo e riecheggiano nella vallata, complice l’effetto anfiteatro naturale delle montagne. Molto suggestiva anche la chiesa del Santo Sepolcro, chiamata così perché un tempo vi si seppellivano i defunti. E’ qui custodita la statua della Madonna dell’Ascensione ritrovata in riva a mare e portata da due pescatori fino a qui. Divenne all’improvviso così pesante da non poter più essere spostata. Dopo la costruzione della cappella, miracolosamente si arricchì di due statuine raffiguranti pescatori in preghiera. La cappella della Madonna dell’Annunciata, in posizione più alta, fu il luogo dove il 14 agosto 1860 si issò il tricolore in onore dell’arrivo di Garibaldi. Per tradizione i ragazzi facevano un giro della cappella mano nella mano con i loro compari di cresima per rafforzarne l’amicizia.
Dal 2000 Castelmezzano è famosa anche per un’attrazione cara agli appassionati di emozioni forti: il Volo dell’Angelo. Imbracati ed agganciati in sicurezza ad un cavo di acciaio, singolarmente o in coppia, si può volare da Castelmezzano a Pietrapertosa (e viceversa) in 80 secondi, raggiungendo anche i 120 km/h ed ammirando le dolomiti da un’altezza di 1.000 metri. Spinti dall’accelerazione meccanica del peso corporeo in discesa, si proietta la propria ombra, molto simile a quella di un angelo, sulle montagne circostanti. L’unico rumore ad accompagnare il volo sarà quello del vento. Negli occhi e nel cuore di chi lo prova, restano le immagini dall’alto delle Dolomiti Lucane, la loro aria frizzante ed un’emozione indimenticabile. Ideato da un architetto francese, il “Volo dell’Angelo” in sei anni ha fatto volare già 60mila persone. Aperto 90 giorni all’anno, è stato recentemente anche la location ad alta quota di una richiesta di matrimonio. Calendario e tariffe sul sito volodellangelo.com.
Per assaporare l’atmosfera di questi borghi storici e vivere appieno le emozioni che offrono, non resta che fermarsi almeno per un weekend. Gli amanti della natura potranno farlo nell’agriturismo “La grotta dell’eremita”, appena 4 km fuori paese. Immerso nel verde, questo borgo risale al XIV secolo. Prima solo azienda agricola, da 18 anni anche ricettiva e da pochi anche fattoria didattica, questo albergo diffuso composto da 20 camere in edifici in pietra con balconi e finestre fiorite, è gestito dalla famiglia Placella da ben 4 generazioni. Gli ospiti possono visitare gli allevamenti di cavalli, capre, pecore, maiali, mucche, partecipare a raccolta delle castagne, vendemmia e lavorazione dei formaggi. Gli amanti dello sport all’aria aperta potranno passeggiare a cavallo o in bicicletta, tirare con l’arco o fare trekking nel percorso letterario delle “Sette pietre” tra Castelmezzano e Pietrapertosa. Nell’agriturismo è anche possibile gustare piatti tipici come la delicata pasta fresca zucchine, pomodorini e basilico o l’ottimo formaggio alla griglia accompagnato dal croccante “cicciopane”. A colazione, invece, non perdete il fresco yoghurt caprino al miele e la torta di ricotta fatta in casa. Prezzi e info su grottadelleremita.it
Per ammirare le vette delle Dolomiti da un balconcino nel cuore del centro storico, l’hotel 3 stelle “Al becco della civetta” è il posto giusto. Il nome riprende la forma di una vicina roccia. Inaugurato nel 2004 (il rinomato ristorante esisteva già dal 1990), offre 24 stanze arredate con gusto e dalla vista mozzafiato. La colazione, a base di torte, plumcake, biscotti, cornetti, marmellate (tutto rigorosamente fatto in casa) è un assaggio di succulenti pranzi e cene nel ristorante gestito dalla stessa famiglia Santoro-Rossano. Dal gusto delicato e dalla presentazione sofisticata, le zucchine con ricotta, menta e fiori di zucca fritti in pastella. Le gustose strascinate fresche con pomodori cruschi e caciocavallo ben si sposano con il corposo vino rosso locale Aglianico del Vulture. Per chiudere, un semifreddo al pistacchio o un cestino di crema chantilly e frutti dei vicini boschi. Dietro queste bontà, le sapienti ed amorevoli mani di una cucina di sole donne (rarità nel mondo della ristorazione) magistralmente diretta dalla padrona di casa.
Info e prezzi su www.beccodellacivetta.it
Foto Victor Liotine