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Fin dalle prime note, sul palco del Teatro Team a Bari, il nuovo disco dei Baustelle, Fantasma, appare un lavoro non facile, da ascoltare con lentezza e attenzione. Il trio senese composto da Francesco Bianconi, Claudio Brasini e Rachele Bastreghi, è ormai lanciato verso una fase “adulta” e si dirige altrove. Con un’intera orchestra a disposizione – l’Ensemble Simphony Orchestra – che l’accompagnerà durante i quattro concerti in altrettanti grandi teatri italiani, a Roma, Firenze e Milano.
Come afferma lo stesso Bianconi, il nuovo disco è costruito sul tema del tempo ed allora ecco l’avvio con Il futuro, che racconta tutta la disillusione di chi si trova a vivere le conseguenze di scelte importanti. L’avvenire così come il passato non rappresenta altro che i fantasmi della nostra epoca, dove il tema aggregatore è il trascorrere del tempo: Fantasma in tredici tracce e sei intermezzi strumentali indaga le nostre paure, le nostre solitudini, i nostri incubi. E’ ciò che si avverte in Nessuno, che inizia con un cluster di archi, quindi con una dissonanza ad apertura pezzo, eppure, la veste sinfonica, cela uno dei pezzi più rock del disco: “Certi inverni freddi, certi guai, mi fan paura. Prego per restare ancora qui, mi illudo ancora”. È un credo violento e crudo con una constatazione dello stato delle cose intimo e allo stesso tempo pubblico e sociale. Ci sono delle costanti che si ripetono nel songwriting di Bianconi: il misticismo, il richiamo a Dio, alla morte, alla guerra; l’autore è alla costante ricerca di una forma “alta” di canzone ed in questo si lascia ispirare tanto dai migliori cantautori italiani (De André e Battiato in primis) quanto dagli storici chansonnier d’oltralpe (Brassens, Gainsbourg).
Seguono i “fantasmi” de Il Finale, Diorama e Cristina, la prima un omaggio al fantasma del celebre compositore francese Olivier Messiaen, la seconda ispirata ad una poesia di Antonio Riccardi ed alle installazioni che ricostruiscono gli ambienti naturali nei musei e la terza dedicata agli ex che possono far più paura degli spettri (“Gli spettri abitano dimore gotiche/Come succede in Edgar Allan Poe/Ma quelli che fanno più paura sono qui”). E ancora fantasmi di cari martoriati che ci perseguiteranno per sempre (Contà l’inverni, nella quale Bianconi si cimenta con il dialetto romanesco), improvvisi risvegli ritmati (Maya colpisce ancora), riflessioni finali sulla ricerca del bene nell’orrore e dell’eterno nell’età (Radioattività).
Il fantasma è anche la conseguenza più romantica dell’evento della morte ed è proprio dai tormenti più amari che traggono spunto i Baustelle per affrontare l’evento della perdita in maniera artistica, arrivando ad intitolare un brano La morte (non esiste più). L’io narrante è il lui di una coppia, che sente avvicinarsi l’età della fine ed entra in crisi, comincia ad aver paura della morte e trova conforto in una sorta di canto liberatorio: “La morte non esiste più”.
Il Cimitero Monumentale di Milano ispira invece Monumentale, uno dei pezzi più intensi dell’album, dove l’algida Rachele Bastreghi prende il centro della scena: qui sono i fantasmi che animano le tombe di un cimitero a suggerire la storia, interferenze misteriose che ci collegano inevitabilmente al passato. Non mancano anche riferimenti alla società attuale che ancora oggi non sempre accetta la diversità (La natura).
A questo punto le immagini “fantasmatiche” lasciano il posto ai brani briosi degli album passati; prima L’aeroplano, poi Il corvo Joe, Il sottoscritto, Charlie fa surf e La Guerra è finita, passando per un brano di Battiato, Col tempo sai, sempre legato al tema di Fantasma, il tempo.
Con quest’ultimo album i Baustelle hanno creato un disco strutturato come un film, con tanto di titoli di testa e di coda, interpretabile anche come la sua colonna sonora immaginaria, dal taglio sinfonico e densa di sonorità spettrali, di citazioni letterarie e cinematografiche, il tutto amplificato all’ennesima potenza dalle orchestrazioni al centro del progetto.
Anche la conclusione è “cinematografica”, Andarsene così, con applausi e ringraziamenti e poi … come per magia scompaiono, lasciandoci suoni e parole profondamente classiche, ma così d’avanguardia, che andranno “metabolizzate” con lentezza.