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Sophia Verloren afferra un dimensione compositiva fuori dagli schemi. Sophia Verloren è la nuova proposta discografica della band The Somnambulist. La loro musica è spiazzante, curva continuamente traiettoria e favorisce un canto dal forte coefficiente d’impatto: mugugno rauco che riporta a Tom Waits o vibrazione cavernosa che ricorda Mark Lanegan. E’ questa la cifra stilistica del nutrito gruppo italo-tedesco (Marco Bianciardi, Rafael Bord, Marcello S. Busato, Chris Abrahams, Els Vandeweyer, Jacopo Andreini, Carsten Wegener, Albertine Sarges).
Nell’album, il rozzo e brutale uso dei modi rock si stempera nei gentili inserti di violino e il pianoforte risolve la sua improvvisazione nel freddo uso del theremin o negli ambigui effetti sonori. Tutto e il contrario di tutto, per confondere piacevolmente e rendere più eccitante l’ascolto, per far pesare un’incognita e poi risolverla in modo insolito. Un caos categorico, un “disordine organizzato” che regolamenta il fluire musicale ma che non è anarchia. Una nuova sintassi che alimenta un periplo di fraseggi, dapprima desolanti e poi incoraggianti, senza soluzione di continuità.
Logsailor, ad esempio, alterna numerosi momenti orecchiabili a rapidi rovesciamenti antitetici. … And The Snow Still Falls rasenta uno stringato lirismo esistenzialista (Time is a drop/ Time is a drop that falls everyday) e si veste di note che riecheggiano come interrogativi pendenti. E quando la voce di Marco Bianciardi sembra aver mostrato tutte le sfumature possibili, si rinnova nel duetto dolciastro di A Daisy Field con Albertine Sarges protagonista assoluta, in chiusura, di una tanto solenne quanto dolente Monday Morning Carnage.
The Somnambulist disorienta e destabilizza anche con il titolo assegnato al disco. Sophia Verloren è gioco di parole che certamente ricorda la più celebre tra le attrici italiane ma, più precisamente, insinua un sospetto che, di questi tempi, serpeggia con frequenza (sophia, in greco sapienza e verloren, in tedesco persa) tanto da sembrare certezza.