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Il termine Dreamtime, nella mitologia aborigena australiana, indica il tempo nel quale il mondo ha preso forma e dimensione, durante il quale gli spiriti degli dei si sono trasformati in montagne, terra e luoghi. E’ l’inizio della conoscenza, da cui provengono le leggi dell’esistenza. Il Tempo del Sogno non è relegato nel passato storico del mondo, ma è un tempo al quale, attraverso il sogno stesso, si può ritornare per comprendere quello che ci accade nella vita di tutti i giorni. Gli aborigeni sostenevano che ogni Didgeridoo (o Yidaki), ha all’ interno uno spirito divino, che si sveglia quando qualcuno che ‘vive sulla terra e respira l’aria‘ ci soffia dentro nel modo giusto.
Scrivo questa premessa per introdurre i Triad Vibration, e il loro Dreamtime Tour (al quale ho assistito lo scorso giovedì durante la data del Blue Note di Milano), perchè la loro musica davvero è capace di trasportarti in una dimensione diversa dalla routine e aprire la mente e l’amino verso infiniti spazi musicali. Il suono ipnotico del Digeridoo(fatto vibrare rocambolescamente da Walter Mandelli), non si limita ad una semplice nenia di accompagnamento, ma fa da collante fra gli altri strumenti e al tempo stesso diventa un fluido conduttore fra i diversi generi (come Jazz, latin jazz, funk, rhythm’n’blues, drum´n bass, contaminazioni elettroniche, e world-fusion), che si susseguono e si mischiano al Tribal Jazz che caratterizza il concerto.
Gennaro Scarpato apre e chiude il concerto suonando una campana tibetana, riequilibratrice del chakra e generatrice di armonia, strumento di contatto tra le dinamiche terrestri e le sfere celesti, afferendo al concerto un valore quasi mistico e ancestrale. Per la durata del concerto alterna vari strumenti ritmici come Darabuka, Talking Drum, Bongò, fischietti e persino un pad elettronico, con un’energia e una carica estremamente coinvolgente.
Anche il basso elettrico di Ezio Salfa si avventura in diverse tecniche, producendo intriganti riff ritmici, giocando di slam, per poi raggiungere liriche dalle sonorità brillanti e al tempo stesso cariche di corpo.
Nonostante i tre musicisti sopra citati avevano fra le mani strumenti prettamente ritmici, la particolarità che gli contraddistingue consta proprio nel fatto che, oltre alla potente carica ritmica, riescono a produrre delle vere e proprie linee melodiche, dall’anima poetica.
E se le sonorità Jazz americane, il tribalismo australiano, la ritmica africana, potevano sembrare abbastanza, ecco a coronare questa incredibile formazione, l’anima cubana del virtuoso Gendrickson Mena Diaz, alle tastiere, tromba e flicorno. Gendrickson conferisce al gruppo uno spirito armonico. Alla dimensione mistica e alla danza trascinante si aggiunge il sentimento, rappresentato dalle esecuzioni melodiche del piano e della tromba, che in alcuni momenti riesce a suonare anche contemporaneamente, lasciando il pubblico esterrefatto.
Rimane comunque difficile descrivere l’esperienza musicale alla quale si va in contro ascoltandoli, perché da questo miscuglio di generi si potrebbe pensare ad un potpourri indefinito, invece l’impatto è chiaro, definito, energico e coinvolgente, per tutta la durata del concerto, o dell’ascolto del CD. Di sicuro una delle più belle esperienze di NuJazz nelle quali mi sono imbattuta.
In una versione più danzereccia (perchè comunque il corpo trattiene difficilmente il movimento ascoltandoli), li ritroveremo a Milano il giorno 8 Febbraio al Cox18. Altre due date in Campania: 22 Febbraio al Bourbon Street di Napoli e il 23 al Dada di Saviano.
Foto di Mariagrazia Giove, riproduzione riservata.
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