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L’esordio romanzesco di Carmela Formicola “Quando suonavo il jazz” – edito da Florestano edizioni, 133 pagine – attende le sue “prime” previste rispettivamente per i giorni 7 e 8 novembre presso “Casa Giannini” a Bari e presso il “Goblin’s” di Potenza; due luoghi del “cuore” per la autrice che la vedono nella sua città natale dopo e in primis nella città che ospita la sua indiscussa professionalità.
Un romanzo leggero e amabile nella lettura ma parimenti duro e concreto nelle espressioni e nei sentimenti; un romanzo che racconta una storia vera, perché è la storia che ognuno di noi porta dentro di sé nel vissuto quotidiano; un eterno momento di conflittualità tra quello che la vita ci offre – ob torto collo – e quello che invece a denti stretti noi vorremmo prenderci da quella vita, a volte più di noi stessi, oltre la nostra anima.
Gli ingredienti ci sono tutti e sono perfetti; Sebastiano Mariani detto Seb – perché “i nomignoli fanno jazz” – è un ex jazzista la cui vita galleggia tra il disordine mentale, il caos e frastuono della quotidianità e l’eterno rimpianto di una vita passata e lasciata sulle tastiere di pianoforte dei migliori club italiani; già, quegli stessi club che gli hanno regalato pulsazioni vitali e che sembrano oggi essere ancora l’unico motore del suo cuore, hanno lasciato il terreno arido ed un piccolo spazio ad avventori da localetti di quart’ ordine e cantanti maldestri alla disperata ricerca di 5 minuti di notorietà.
Il jazz – quello amato e cercato dagli studi del Conservatorio – lo stesso che gli ha regalato fama e successo, quella strana musica – la stessa di Bill Evans che lo ha fatto sentire per anni “al centro del mondo pur non essendoci”, quel jazz che per sua natura “non puoi spiegare” lo ha abbandonato definitivamente, confinandolo nel cerchio della sua malattia, estromettendolo cosi da una vita, dalla sua vita.
Seb trova allora rifugio nei suoi ricordi che rincorre puntualmente, ora che la sua professione è definitivamente naufragata tra le mura di un “hangar colorato di periferia con la bandiera americana e la foto degli Eagles alle pareti e l’insegna luminosa della Desperado”“giorni karaoki” appare davvero insormontabile.
Ma come accade nel quotidiano di tutti noi – e qui la bravissima autrice stringe, afferra e trasmette il vero senso della vita – qualcosa all’improvviso accade; Seb si ritrova in una stralunata serata festaiola in occasione di un Capodanno e come per magia accanto ai soliti annosi ricordi spunta un incontro con un vecchio amico, il suo primo e unico talent scout il quale – fatalità cercata – sembra essere apposta lì per attenderlo e per proporgli un nuovo contratto per ingaggio su un nuovo locale di tendenza.
Tutto allora riemerge dell’oblio, le nubi si diradano e finalmente nella gioia di una chiacchierata sembra essere racchiuso il riscatto di una vita intera; ma in fondo sarà davvero cosi? Questo non lo scopriremo o forse ciascun lettore potrà scoprirlo da solo; se un ricordo basta a muovere l’anima anche se quel ricordo sbiadisce perché il tempo ce lo impone. Ma la forza e la memoria di quel ricordo ci aiutano a vivere sicuramente meglio tra la eco di ciò che ci è accaduto e l’annuncio di ciò che verrà.
Forse siamo esattamente tutti lì, in bilico.