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«S’arrisbigliò che erano appena le sei e mezza del matino, arriposato, frisco, e perfettamenti lucito di testa»: comincia bene la giornata di Montalbano. Ma una telefonata di Livia gli ricorda che compie 58 anni. E il commissario, che «le date, le ricorrenze, i compleanni, l’onomastici, l’anniversari e camurrie simili, se li scordava tutti», vorrebbe non pensarci.
A complicare la faticosa presa di coscienza dell’età, che apre l’ultimo capitolo della saga – in realtà, puntualizza Camilleri nella nota finale, il romanzo è stato scritto diversi anni fa – intervengono due fatti criminosi che si intersecano fra loro. In un supermercato di Vigata viene rubato il cospicuo incasso e il giorno dopo il direttore viene trovato impiccato. In un appartamento della città viene scoperto il cadavere di una ragazza: a denunciarlo è il fidanzato, Giovanni Strangio. Entrambi i casi coinvolgono due nomi che contano: l’onorevole Mongibello che amministra la società proprietaria del supermercato, peraltro fatta di prestanome della famiglia mafiosa dei Cuffaro, e il presidente della Provincia, padre di Strangio.
L’intreccio di fatti, scoperte, intuizioni, prove, architettato con consumata ironia dallo scrittore, pungola Montalbano e torna in scena con più forza rispetto agli ultimi romanzi. Attorno al commissario ruotano gli ingredienti classici del paradigmatico mondo di Vigata: la mafia e le collusioni con la politica, le intimidazioni dell’autorità costituita, ma anche lo sdegno e l’insofferenza verso un Paese in cui i condannati continuano a sedere in Parlamento, l’opinione pubblica è addomesticata dalla televisione e le «voci libbire» languono, un certo giornalismo non esita per natura ad inchinarsi al potere. Un universo tentacolare, che Montalbano trasfigura in sogno nella Chicago di Al Capone, in un’esplicita citazione degli ‘Intoccabilì di Brian De Palma e della memorabile sequenza della carrozzina (a sua volta citazione della Corrazzata Potemkin di Ejzenstejn) che scende senza controllo giù dalla scalinata. Un contesto pieno di zone d’ombra che a un certo punto rischia di mettere in discussione l’esistenza stessa del piccolo commissariato.
Ma Montalbano non si arrende e non si fa scrupolo di ricorrere a ‘furfantagginì e mezzi poco ortodossi, fino a camuffarsi dietro una ‘voce di nottè che al telefono strappa la confessione all’onorevole Mongibello. Attorno al commissario, la squadra dei suoi formidabili comprimari: Fazio, puntuale e quasi irritante con i suoi ‘pizzinì genealogici e con l’efficienza del ‘già fattò, Augello sempre più suscettibile e soprattutto Catarella, genio sgrammaticato dell’informatica che stavolta ha il suo momento di gloria e contribuisce in modo decisivo alle indagini con la decrittazione di un lettore «mippitrì».
Un noir costruito a puntino, per il popolo dei lettori di Montalbano e per la trasposizione in tv.
ANDREA CAMILLERI, ‘UNA VOCE DI NOTTE’ (SELLERIO, PP. 269, 14,00 EURO).