Tempo di lettura: 3 minuti
Domani 25 ottobre mi aspetta un aereo, destinazione Belgrado. Una città che non ho mai visto dal vivo, ma ho ancora impresse nella mente le immagini dei suoi palazzi distrutti da una guerra non troppo lontana. Motivo della mia partenza: Belgrade Jazz Festival.
Quando Vojislav Pantic, direttore artistico del festival, me ne ha parlato, lo ha fatto con un tale entusiasmo e con un amore per il jazz così coinvolgente, che non ho potuto rifiutare.
È incredibile come l’arte e la cultura siano capaci di risollevare un popolo! Non parlo di questioni economiche, ma della ‘forza’ e dalla ‘voglia di fare’ che vengono fuori dagli animi della gente.
Il Belgrade Jazz Festival è giunto alla sua ventottesima edizione, resistendo alla dittatura, alla guerra, alla distruzione. Dal 2000 il festival è rinato con la voglia di crescere e confrontarsi con il resto del mondo, aprire le porte alla creatività e a tutta la varietà di forme di jazz.
Il programma di quest’anno è decisamente interessante e articolato. La spina dorsale del festival si articola su dei grandi nomi dello scenario Jazz americano, ma al tempo stesso largo spazio è dedicato ad artisti serbi o europei. Le formule prescelte attraversano il jazz tradizionale per giungere ad esperimenti più radicali, al fine di offrire al pubblico non solo l’ascolto e la conoscenza dei grandi artisti del jazz ma anche l’opportunità di ampliare il proprio pensiero verso la musica contemporanea e le sfaccettature creative che offre. Riflettori puntati sui fiati, che diventano protagonisti di diversi concerti in cartellone.
Il primo grande evento è dedicato a Miles Davis, a 20 anni dalla sua scomparsa, con il concerto Miles Smiles che vede sul palco artisti incredibili del calibro di Wallace Roney alla tromba(alunno di Davis), Rick Margitza al sax, Larry Coryel alla chitarra, Joey DeFrancesco all’organo Hammond, Victor Bailey al basso e Omar Hakim alla batteria. Il nome del celebre album di Miles sembra non essere scelto a caso, perché queste sei grandi star del jazz si divertono sul palco, ‘giocando’ con le note di Davis. Incredibile performance di Roney e Margitza.
La sera successiva un altro quintetto memorabile capitanato da un’altra accoppiata tromba-sassofono di eccezione. Parliamo di Dave Douglas e Joe Lovano col progetto Sound Prints. Anche in questo caso abbiamo un tributo, ma questa volta rivolto ad un genio del sax, l’icona vivente Wayne Shorter.
La notte si scalda con l’arrivo di trombettista e percussionista latino Jerry Gonzalez, uno dei nomi più celebri del latin jazz.
La terza serata apre la scena ad una nuova stella del panorama jazzistico americano, Ambrose Akinmusire. Questo giovane talento vanta una cultura musicale incredibile, grazie alla quale ha formulato un personalissimo stile che esprime liberamente. A discapito dei cultori del jazz tradizionale, lui fa quello che vuole sul palco. La sua tromba ora stride rabbiosa, ora canta, intima e delicata, per poi intrecciarsi giocosa con gli altri strumenti della band. Sta conquistando il pubblico di tutti i più prestigiosi festival internazionali, stregherà anche Belgrado!
Da citare anche gli americani Mostly Other People Do the Killing e la poetessa jazz unica nel suo genere Ursula Rucker, il trio franco-germanico-danese Das Kapital, col loro autentico jazz-cabaret e il dance groove del trio danese Ibrahim Electric.
Fra gli artisti serbi troviamo alcuni degli artisti locali più noti, come Nenada Vasilića, Blazin’ Quartet Srđana Ivanovića, Jove Maljokovića, e anche la speciale collaborazione fra la band rock alternativa Darkwood Dub e la cantante Bisere Veletanlić.
Foto di Mariagrazia Giove, riproduzione non consentita.