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Queste poche parole sulla “Russia N. 2”, cioè sulla “Russia dietro il filo spinato”, sono soltanto l’introduzione. Dei campi di concentramento bisogna scrivere a parte. Qui desidero parlare, invece, di una cosa che in questo momento per me è la piú importante ed urgente. Ed è quello che io chiamo “Il caso Berger”. Il popolo ebreo, il movimento nazionale ebraico, non può condurre una lotta contro il regime sovietico del terrore. Non è nelle nostre possibilità distruggere migliaia di nascondigli, ricettacoli di oppressione e depravazione. Questo può farlo solo il popolo russo, nel cui futuro io ho grandi speranze. Ma c’è una cosa che riguarda direttamente noi, c’è qualcosa che riguarda il nostro senso di responsabilità e che pesa sulla nostra coscienza come un macigno: è la situazione dei nostri fratelli, finiti in quella tana di lupi e non possono fuggire via. Nessuno può dar loro una mano, all’infuori di noi. E noi abbiamo il dovere di aiutarli.
In Unione Sovietica è scomparsa un’intera generazione di sionisti tra campi di concentramento, carcere e confino. Noi non siamo stati mai capaci di porgere loro qualche aiuto, non tanto perché ciò fosse difficile, quanto, e prima di tutto, perché abbiamo perduto qualsiasi contatto, spirituale e sentimentale con loro. Di loro non ci siamo mai interessati. Io non ricordo, negli anni precedenti la guerra, neanche un articolo su questa materia, né il piú piccolo tentativo di mobilitare l’opinione pubblica per ottenere una qualche modifica della loro sorte. Qui si dimostrarono quella passività colpevole e quell’indifferenza che poi vennero terribilmente alla luce, quando cominciarono a fumare i camini di Auschwitz e gli Ebrei polacchi furono avviati alla morte, mentre i centri mondiali delle organizzazioni ebraiche “non sapevano”, “non credevano” e perciò non fecero neppure quello che avrebbero potuto fare. Una delle mie esperienze traumatizzanti fatte nell’”impero sotterraneo” sovietico è stato l’incontro con persone sepolte vive per nient’altro che per il sionismo della loro gioventú. Ora io avevo di fronte persone anziane e distrutte, senza speranza e senza fede. Mi pregavano di trasmettere un riverente saluto alla propria gente e al proprio Paese, sacre aspirazioni, che per loro non sarebbero mai divenute realtà. E mi pregavano inoltre, gente che aveva grandi meriti, gente che doveva essere ricordata dai propri connazionali, mi pregavano di non menzionare i loro nomi nella stampa, perché quello avrebbe potuto causare brutte conseguenze per loro e per i loro figli, per le loro famiglie ancora in libertà, nella “libertà” sovietica. Non ne farò menzione. Ma ci sono dei nomi che pronuncio senza esitazione, perché si stratta di un bene comune; comunque, non io, ma qualcun altro avrebbe sollevare il problema.
Nella Russia Sovietica improvvisamente è scomparso M. Kulbak, poeta ebreo di un talento straordinario, decoro della nostra letteratura. Kulbak non era sionista. Egli era un amico dell’Unione Sovietica, dove volle trasferirsi per vivere e lavorare nella “patria di tutti i lavoratori”. Lí lui compose due notevoli opere: il racconto “Messija ben Efraim” e il romanzo “Zelmenianer”. Del comunismo Kulbak aveva quella stessa idea che hanno anche altri nostri ingenui e sprovveduti connazionali, che vivono nel mondo della fantasia e dell’entusiasmo. Ebbe, però, l’imprudenza di trasferirsi non a Parigi, ma a Mosca. Adesso il suo nome è all’indice, le sue opere confiscate e lui stesso “scomparso senza tracce”, cioè in qualche campo di concentramento trascina i suoi giorni come animale da lavoro. Io penso che la cosa piú grave e terribile in tutto ciò sia l’assoluta indifferenza del popolo ebreo, per l’onore del quale ha vissuto ed ha scritto quest’uomo. C’è qualcuno che si interessi della sua storia? Si rende conto l’opinione pubblica ebraica, il mondo letterario ebraico, del proprio obbligo nei riguardi di questa persona? Supponiamo che in Unione Sovietica avessero fatto fuori in quel modo un qualche poeta francese abbastanza noto. Quale scandalo ne sarebbe derivato in Francia e in tutto il mondo! Ma noi restiamo in silenzio, mentre la tragedia di Kulbak, al quale hanno strappato di mano la penna nel fiore della sua creatività artistica, non si configura solo come una vergogna per l’umanità, ma in primo luogo una nostra tragedia.
Ad ogni ebreo lituano e ad ogni sionista è ben noto il nome del dottor Venjamin Berger, che fino a prima della guerra era stato presidente dell’Organizzazione Sionistica di Lituania.
Io m’inchino di fronte a quest’uomo che mi ha salvato la vita, che mi ha strappato dalle grinfie della morte piú abominevole e avvilente: consunzione per fame. Nel campo di concentramento di Kotlas, dove ci siamo conosciuti, fu lui che con calma e tanta pazienza mi ha rimesso letteralmente in piedi. Io non conosco nessun altro piú buono, piú generoso e piú onesto di lui. Nei capelli d’argento e nello sguardo intelligente e profondo di quell’uomo che ha visto tante cose, avverti la Šeniha [Presenza] di Dio, tracce di eccelsa umanità. Tutta la vita del dottor Berger, che adesso ha 66 anni, è interamente dedicata al servizio degli altri, alla scienza e al suo popolo. Non c’è nessuno al mondo che da lui abbia ricevuto del male. Per questo molte persone, come me, a lui devono la vita. Il dottor Berger non ha mai perso occasione di aiutare i sofferenti, e nel campo di lavori forzati, dove lo sbatté il suo destino, egli rappresenta un centro vivente di calore e di affetto, di attenzione, sostegno morale e preoccupazione paterna per tutti quegli infelici, umiliati e oppressi che ormai da sei anni rappresentano il suo unico ambiente.
C’è qualcosa di strano ed innaturale nel fatto che persone come il dottor Berger, ovvero persone chiaramente rette e corrette, protagoniste di una concreta filantropia, vengano definite in Unione Sovietica come “elementi anti-sociali” e criminali.
Il dottor Berger, dopo l’annessione della Lituania nel 1941, fu arrestato e deportato. Per appartenenza ad una terribile organizzazione controrivoluzionaria, quella dei sionisti, gruppo “V”, si beccò 10 anni. Per uno con la salute come la sua (grave patologia cardiaca) 10 anni significano una condanna a morte.
Ma nei confronti di chi il dottor Berger aveva commesso dei crimini? Contro il popolo sovietico? Contro la classe lavoratrice lituana?
Quello che accade al dottor Berger è, prima di ogni altra cosa, un’assurdità. Quest’uomo morirà per un nonnulla.
Ed occorre spiegare che lui non è il solo e che non solo di lui si tratta? Certi miei amici, sionisti, persone oneste, limpide come cristallo, resistenti come l’acciaio, nel fiore degli anni e delle energie, sono stati strappati alla vita, falciati come fiori di campo. Una cattiva sorte divora i loro anni giovanili, la loro vita se ne va senza ritorno. Da qualche parte li piangono madri, mogli, figli. Allo stesso modo versarono lacrime per me i miei familiari, non sapendo dove io fossi finito e senz’alcuna possibilità di aiutarmi. Il “caso Berger” riguarda tutta la nostra gente, ebrei che hanno dato la vita al sionismo e, poiché prima della guerra abitavano in Polonia, in Lituania e nei Paesi Baltici, non avevano nulla a che vedere con l’Unione Sovietica. Adesso vengono considerati “cittadini sovietici” e il Paese dei Soviet non trova per loro niente di meglio che ridurli in condizioni di servaggio.
Non si tratta, dunque, di Berger e dei suoi sventurati compagni. Riflettiamo: si tratta proprio di noi.
Guai a quella società che non è piú capace di reagire a gran voce e con forza ad una scandalosa ingiustizia e combattere contro il male. Una tale società è un cadavere morale, e là dove si presentano i primi sintomi di simile degrado, anche la decadenza politica non si fa a lungo attendere.
“Aiutare Berger” è la stessa cosa che “aiutare se stessi”. Di che cosa avete paura, voi sionisti? O pensate per caso che avete da affrontare questioni ben piú importanti del destino di vostri compagni e del valore del vostro sionismo?
Con un intervento aperto e coraggioso state certi che voi non li danneggiate; al contrario. Non è possibile peggiorare minimamente la loro condizione. Ma, se il governo sovietico viene a sapere che alla sorte di quelle persone si è rivolta l’attenzione di tutto il mondo, allora prenderà qualche misura per consentire almeno di rendere meno disumano il loro stato.
Se, invece, ve ne tenete a distanza, è come se ai loro carcerieri diceste: “di loro potete fare quello che volete. Per quel che ci riguarda, non vi daremo alcun disturbo!”
Qui si tratta di uno scandalo a livello mondiale e bisogna dichiararlo ad alta voce. E non v’è posto per linguaggi fumosi e mezze verità. Le modifiche in meglio non si ottengono quale premio per una nostra “buona condotta”. Quella gente sta ammazzando nostri fratelli. E noi restiamo in silenzio!
Ammettiamo pure che nel vivo della guerra contro i nazisti non sia stato possibile sollevare questo problema. Ma adesso la guerra è già finita.
Rimandare ancora non è piú assolutamente accettabile!