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Sono passati 10 anni dalla scomparsa di Carmelo Bene, irriverente e irriverito genio del secondo Novecento italiano. Il 16 marzo del 2002 scompariva nella sua casa di via Aventina a Roma e quasi subito al suo capezzale correvano importanti esponenti della cultura italiana e internazionale. Fuori dall’abitazione un gruppo di giovani lo acclamavano con cartelli "Carmelo dicci che non è vero!". La cronaca di quello che accadeva nella casa, gli incontri e gli scontri fra parenti e amici la diedero allora i giornali scandalistici.
Con la sua impronta indelebile Bene ha pervaso di sé il cinema, il teatro, la speculazione filosofica, l’arte in generale e infine la grande opinione pubblica mediamente incolta quella che non va a teatro, che non si occupa di ermeneutica, che non percorre le vie dell’arte per nessuna ragione. Maurizio Costanzo lo proclamava un classico, gli dedicava puntate monografiche che hanno fatto la storia della televisione. Il pubblico ne faceva, così in vita un santo laico e contemporaneamente un demone della comunicazione. Bene diventò, in quei primi anni Novanta del passato secolo, la comunicazione dell’incomunicabile perché come ebbe a scrivere "Frequentare i più dotati non vuol dire accostarsi all’assoluto comunque".
Per ogni cosa che toccò, per ogni disciplina che frequentò è stato un discrimine imprescindibile, lo shifting point, ovvero quel punto di svolta in cui costanza e incostanza si scontrano con un rigore talvolta maniacale e talvolta ossessivo eppure capace di sorprese e improvvisi capovolgimenti di rotta.
La parte migliore di sé era l’orecchio, non già la voce, come generalmente si penserebbe. Il suo orecchio era quello che mancava alla società e che gli permetteva una ricerca pura che non inseguisse i gusti, le mode, i manierismi. Si imbatté, è vero, in molti fenomeni culturali come le Cantine Romane, e quindi nelle estroflessioni di Perla Peragallo e Leo De Berardinis. Ma durò poco! Un battito d’ali nella grande esperienza della Polifonia beniana. Come avrebbe potuto essere l’incarnazione stessa della Phonè senza il suo orecchio? Con quello fin da bambino aveva approcciato le strade del suo Salento fisico e meta-fisico. Sin da quando usciva da scuola trascinato dalla sorellina che portava per mano quel bambino dalla salute cagionevole, come "la muscia" fa con "lu scarpune", ossia come fa una gattina che cammina trascinando dietro di sé un pesante scarpone per un laccio. Era quella la sua immagine più intima in cui lui ascoltava e tendeva l’orecchio al mondo, indebitamente pigro all’apparenza, svogliato, immobile, quasi inebetito dalla santità salentina.
Il 16 marzo da dieci anni a questa parte per la Puglia e per la storia d’Italia si ricordano due scomparse. Nel medesimo giorno in cui a via Aventina moriva Carmelo Bene, in un’altra strada di Roma a circa 9 chilometri dalla prima 24 anni prima veniva rapito Aldo Moro e trucidata barbaramente la sua scorta.
La strada era via Mario Fani gli uomini della scorta erano la guardia di pubblica sicurezza Raffaele Iozzino, per il maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi, l’appuntato dei Carabinieri Domenico Ricci, per la guardia di pubblica sicurezza Giulio Rivera e per il vice-brigadiere Francesco Zizzi. Anche in questo caso dopo la strage di via Fani rappresenta uno shifting point. Da quel 16 marzo 1978 nulla è stato più simile a nulla. Lo Stato, come hanno accertato i processi penali, si è sporcato le mani con il suo stesso sangue o meglio settori deviati dello stato hanno occultato, se non favorito e appoggiato quella strage, i suoi mandanti, i suoi esecutori materiali. Carmelo Bene e Aldo Moro sono stati, quindi, un discrimine la Storia li ha guardati, sorvegliati, onorati, disprezzati al momento non è in grado di giudicarne la portata intellettuale, umana e sapienziale, fino in fondo.
Santi che videro la Madonna? Hai posteri l’ardua sentenza!