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Il commissario Bordelli è un uomo sostanzialmente tranquillo e che amerebbe solo trovare un pò di pace, ma ha un mestiere che gliene consente poca. Questa volta però Marco Vichi lo ha fatto mettere a riposo e ritirare, a 57 anni, in una grande casa di campagna con un centinaio di olivi attorno, dove un giorno lo raggiunge anche un grosso cane giallastro a pelo corto che chiamerà Blisk, come il lupo che aveva avuto un tempo.Insomma, sembrerebbe un quadro idillico, se non fosse che scopriremo un lato del carattere nuovo e imprevisto del nostro eroe e che il nuovo romanzo non promette, per Bordelli, nulla di buono sin dalla prima pagina, dove riporta l’articolo di giornale che riferisce del suicidio di un macellaio fiorentino.
Siamo nel febbraio 1967, a poco più di tre mesi dall’alluvione di Firenze, quella che ha fatto da sfondo ed è stata sostanza del precedente, intenso libro di Vichi, "Morte a Firenze" (premio Scerbanenco 2009), che si conclude male per Bordelli. I violentatori e assassini del piccolo Giacomo Pellissari, che approfittarono del caos di quei giorni, sono rimasti impuniti e quando le sue indagini finiscono per mettersi sulla strada giusta, incrociando i meschini misteri e il grande potere della Massoneria, ecco che Eleonora, la giovane commessa che da poco lo aveva sentimentalmente coinvolto, viene stuprata e a Bordelli arriva anche una lista con i nomi di tutte le persone a lui più care. È solo per questo che il commissario ha lasciato la Polizia e San Frediano.
A Firenze ancora si lavora a ripulire e portar via le macerie e sui colli Bordelli sembrerebbe aver preso le distanze da tutto, ma ha anche lui le sue macerie con cui fare i conti e vi arriverà inevitabilmente. Vichi mostra in questo tutte le sue qualità di narratore, unendo alla matrice toscana, con echi delle cupezze di Tozzi e le atmosfere di Cassola, un gioco di rivelazioni e concatenazione di fatti da buon giallista, che proporrano al lettore, ma anche a Bordelli, sostanziali problemi etici, che vedono in gioco, un gioco particolare e pericoloso, l’amore per la giustizia. «Il mondo era uno schifo, e pensare di guarirlo era un’illusione. Quello che si poteva fare era ricucire i piccoli strappi, anche se l’intero tessuto era marcio. Era solo un modo per non rassegnarsi alle sconfitte, per non soccombere, per non lasciare la regola senza un’eccezione».
Come sempre scappare non serve e coltivare il proprio orticello non riesce a divenire una metafora convincente. Il Botta, Diotallevi, Rosa e persino il ritorno di Adele ("Per adesso soltanto Adele era qualcosa di concreto, Eleonora era una specie di sogno"), sono sempre lì a fargli corona, ma Bordelli davanti alla sua coscienza (e ai fatti che lo pressano) si troverà solo. Una solitudine che torna con quella malinconia di fondo, esistenziale che Vichi ha dato a questo suo simpatico personaggio, intelligente, sornione, passionale e ragionatore anche quando, come in questo caso, potremmo dire che sia impulsivo. Non c’è insomma solo la storia, la trama con la sua suspense, qui meno forte di altre volte, proprio perchè si tratta di un romanzo scritto che punta sulla psicologia e sulla vita dei personaggi.
Marco Vichi, "La forza del destino" (Guanda, pp. 372 – 18,50 euro).