Tempo di lettura: 6 minuti
Febbraio 1960. Esce al cinema Capitol di Milano “La Dolce Vita” di Fellini. Si scatenano le polemiche. L’opinione pubblica si schiera. Il Paese si divide. Tutti ne parlano: scrittori, critici, politici, gente qualunque. E’ un’opera immorale oppure un capolavoro di coraggio e di attualita’ che denuncia le crepe morali e il vuoto della societa’? Il film, che segna il costume italiano, e’ un viaggio nelle vie di una Roma barocca, affascinante e turpe. La scena di Anita Ekberg che si immerge, come una dea, nelle acque gelate della Fontana di Trevi, fa scalpore. La diva svedese e Marcello Mastroianni diventano due irrimediabili peccatori. Ma Fellini vince la battaglia del pubblico e della critica del tempo. E il film batte ogni record di incassi e diventa un caso nazionale.
Con questa premessa Oscar Iarussi, saggista, critico cinematografico, racconta, insieme al visionario Fellini e al suo film “La Dolce Vita”, il cambiamento antropologico dell’Italia degli ultimi 50 anni, dell’Italia della dolce vita che mai fu e lo fa con la sua ultima fatica letteraria, “C’era una volta il futuro. L’Italia della Dolce Vita” (ed. Il Mulino).
Ma, cos’e’ “la dolce vita”? E’ la stagione della frivolezza, delle follie romane, di una Roma, quella di fine anni Cinquanta, che diventa palestra di ogni eccentricita’, di stravaganti esibizioni mondane, di ‘paparazzate’, di capricci, di divi in copertina, di soldi fatti e buttati, di cui il film di Fellini diventa manifesto. Una lettura piu’ profonda, pero’, assurge “La Dolce Vita” felliniana a simbolo, metafora di un momento storico e di una condizione etica che, al di la’ della patina dorata, rivela e ‘presagisce’, una realta’incerta, volubile, solo apparentemente facile, ma in realta’ angosciata e velleitaria: appunto dolce fuori, ma amaramente vuota dentro. Una dolce vita che mai fu…
Erano gli anni ’60. Passati gli orrori e gli stenti della guerra, l’Italia si avviava verso un rapido progresso e benessere che la porteranno, in breve, a diventare uno dei maggiori Paesi industrializzati del mondo e a perdere definitivamente la sua anima contadina. Non c’e’ traccia apparente di una possibile marcia indietro. Nessuna possibile fragilita’, debolezza, ne’ nell’economia, ne’ nei costumi. Sono gli anni del boom economico. L’Italia e’ in una botte di ferro. Sembra che l’ascesa economica sia inarrestabile. Ma c’e’ un’altra faccia di quell’epoca, di quel Paese. Di quegli anni d’oro, carichi di promesse, Fellini, nel suo capolavoro, racconta, appunto, l’altra faccia, quella di un’umanita’ vuota, amara ed annoiata, alla ricerca disperata di un senso, di autenticita’. E, nelle immagini amare del film, pervase di disincanto e scetticismo, si intravedono i ‘bagliori’ del tempo che sarebbe venuto, in cui forte e’ l’inquietante sensazione di avere un futuro dietro alle spalle… Fellini fu Profeta?
Pare proprio di si. E Oscar Iarussi, nel suo libro, ci illustra e dimostra la ‘lezione felliniana’, individuando nell’Italia di Fellini una profetica visione del futuro. Simbolo del vitalismo disordinato ed euforico dell’Italia del boom economico, la pellicola di Fellini e’ un grottesco repertorio dei tic, delle mode, delle manie, delle contraddizioni, delle zone d’ombra di quell’esplosiva fame di futuro, ma e’ anche l’affresco della nostra epoca, di noi stessi, figli di quel tempo, allo stesso modo divisi tra entusiasmo e depressione. Iarussi ripercorre, dunque, un itinerario culturale e sviscera mode, manie, tendenze, vizi e virtu’ nazionali che si potevano ammirare nella Roma del miracolo economico, seduti comodamente al tavolo di un caffe’ di via Veneto.
E dal raffronto di epoche e di sensazioni nasce il tentativo di comprendere il nostro mondo, rassegnato e stanco, appagato da quella Dolce Vita patinata che sembra inserirsi nelle famiglie, nonostante la crisi, nonostante le crepe di un sistema logoro e invecchiato. “La realta’ oggi e’ diventata grottescamente piu’ felliniana che in Fellini, il torto peggiore che l’Italia potesse fare al sommo regista”, sentenzia Iarussi.
Mai nessun “c’era una volta…” ebbe piu’ amara conclusione, potremmo aggiungere noi.
Dopo aver recensito il libro noi di LSDmagazine abbiamo scambiato due chiacchere con l’autore Oscar Iarussi che ci ha parato di se’ e del suo libro.
“C’era una volta il futuro”, un ennesimo omaggio al Maestro Federico Fellini da parte di Oscar Iarussi. Come nasce? Vuole parlarcene?
Avevo gia’ scritto un altro libro su Fellini, qualche anno fa, intitolato “L’infanzia e il sogno. Il cinema di Fellini”. Era una monografia felliniana in senso piu’ largo, dedicata alle sfaccettature del cinema di Fellini. Nel caso di “C’era una volta il futuro”, invece, si tratta di un saggio non specificamente cinematografico, bensi di costume, di storia delle idee, di storia sociale italiana, perche’ prende le mosse dal film di Fellini, dalla Dolce Vita, il film che apparve nel 1960 e riconduce queste mosse all’oggi, al nostro presente, alla contemporaneita’. Dunque, il libro cerca, e spero riesca a trovare, nella luce del capolavoro di Fellini, celeberrimo per alcune scene, quale quella del bagno nella Fontana di Trevi di Anita Ekberg con Marcello Mastroianni, una serie di presagi, di epifanie, di rivelazioni, dell’Italia che sarebbe venuta. L’idea di questo mio ultimo libro nasce dal fatto che la realta’ intorno a noi, il testo realistico, il mondo, la vita quotidiana, appare per certi versi felliniana e sono andato a cercare le origini di questa deriva grottesca, trovandole nel film “La Dolce Vita”.
Federico Fellini si rivela, dunque, un “profeta”…
Naturalmente, non si tratta di un profeta senza “virgolette”. Fellini aveva una straordinaria pulsione per tutto cio’ che avesse a che fare con l’occulto, con l’esoterismo e con la psiche in generale. Era stato piu’ volte in psicoanalisi, frequentava l’ambiente degli analisti, soprattutto junghiani, e dei “maghi”. Insomma, lo affascinava tutto cio’ che era in ombra. Tuttavia, in questo caso, non si tratta di una profezia che si puo’ intendere in senso stretto, ma di una lungimiranza dello sguardo. L’ipotesi del libro e’ che in Fellini vi sia uno sguardo antropologico, esattamente come vi fu in Pasolini. Solo che di quest’ultimo, di Pasolini, appunto, tendiamo a riconoscere questo sguardo, perche’ Pasolini, per primo riconobbe il cambiamento del Paese, il passaggio da una civilta’ contadina a una civilta’ industriale, con tutte le rovine che questo cambiamento ha prodotto, mentre Fellini, e’ noto per certi aspetti, che gli fanno torto, di natura “macchiettistica”. Si pensa a Fellini come al regista delle donne opulente, al regista del grottesco, al regista del “glamour”. Quindi e’ noto o per certe “macchiette” che gli si attribuiscono e, che non sono tali affatto, oppure e’ noto per quel suo lato “glamour”, che viene equivocato. Perche’ La Dolce Vita e’ un film, come scrivo nel mio libro, assolutamente piu’ sfaccettato. Non e’ un film “dolce”, anzi e’ un film molto amaro, il cui titolo e’ ironico. A Fellini, dunque, non gli si riconosce lo sguardo lungo, la capacita’ di presagire e di cogliere i segnali della crisi italiana, del degrado italiano, che invece nei sui film ci sono e sono chiarissimi e che sono puntualmente concretati, verificati e realizzati nel corso del tempo. In questo senso, Fellini e’ un “profeta”.
Ha detto di Fellini che e’ un “cineasta senza eredi”. In realta’, Oscar Iarussi crede ci possano essere eredi di Fellini?
No. Credo non ce ne possano essere e che sia giusto che non ve ne siano. Fellini non e’ un caposcuola. Pensiamo a Michelangelo Antonioni, per esempio. Antonioni ha aperto una scuola con il suo modo di girare, con il suo stile, con la sua capacita’ narrativa, tratti, che, in realta’, sono anche in Fellini. Perche’ La Dolce Vita e 8 e ½ sono due film frammentari, mosaicati, non hanno una logica narrativa tradizionale. Sono due film molto innovativi dal punto di vista dello stile e che, secondo me, reggono piu’ dei film di Antonioni. Tuttavia, Antonioni ha creato, suo malgrado, una scuola di cinema, di “sguardi alla Antonioni”, mentre Fellini ha creato soltanto se stesso e, suo malgrado, una serie di scimmiottature che non possono attribuirsi consapevolmente a lui. Ci sono molti registi che tentano di imitarlo, di “scimmiottarlo”, a volte con grande pregio. Pero’, Fellini non ha eredi. Semplicemente perche’ il suo percorso e’ unico. Il suo stile e’ inimitabile. E questo e’ un bene. Piuttosto, l’eredita’ di Fellini si coglie in un certo “disincanto – incanto”. Queste due dimensioni si possono cogliere in altri registi. Penso, per esempio, a grandi registi che si possono definire, piu’ che eredei, parenti lontani di Fellini, come Kaurismaki e Koustouriza. Fellini, pero’, non ha allievi diretti.
Sara’ tra i consulenti alla selezione dei film della prossima Mostra del Cinema di Venezia?
Certo. Saro’ tra gli esperti della prossima Mostra del Cinema di Venezia. Sono gia’ stato in altre edizioni e anche quest’anno, grazie al Direttore Alberto Barbera, il quale mi ha invitato a far parte della commissione, ci saro’.