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“Maria Antonietta è una ragazza con la chitarra e litri di sangue versato.” Così si autodefinisce Letizia Cesarini (Pesaro, 1987), in arte Maria Antonietta, che si è esibita all’Arci Tressett di Giovinazzo in un concerto molto atteso.
La giovane cantautrice ha esordito nel luglio 2010 col promettente Marie Antoinette wants to suck your young blood, cui ha fatto seguito all’inizio del 2012 un album intitolato semplicemente Maria Antonietta, prodotto da Dario Brunori, che potrebbe segnarne la consacrazione come uno dei talenti più interessanti della scena indipendente.
Fisicamente molto minuta, capelli rosso fuoco e tatuaggi old style sulle braccia, affascinata da figure femminili molto forti come Maria Maddalena, Giovanna D’Arco o Santa Caterina, Maria Antonietta non può lasciare indifferenti. La cantantessa punk ha entusiasmato il pubblico presente con una scarica rock potente e sincera. Liriche crude e dolenti, accompagnate da un’urgenza espressiva propria solo di chi ha ancora vent’anni e vuole essere felice a ogni costo.
In molti brani parli della difficoltà di accettare la realtà. Sei riuscita a raggiungere un equilibrio interiore?
Il disco è nato da uno stato d’infelicità, dalla difficoltà ad accettare certe cose della realtà che mi circondava. Se poi sono riuscita però a scrivere le canzoni, registrarle e portarle in tour, è stato perché qualcosa è cambiato, altrimenti non ne avrei avuto la forza. Il “lavoro” di cantante esige infatti serenità, anche se la sofferenza può essere un’ottima fonte d’ispirazione.
Sei stata paragonata da alcuni critici a Carmen Consoli o a Courtney Love. Quali sono i tuoi modelli?
Sicuramente Courtney Love e PJ Harvey sono i due poli tra cui mi muovo e che ascolto sempre. E poi tutto il movimento Riot grrrl degli anni Novanta. In Italia mi mancano punti di riferimento e infatti quando ho cominciato a fare musica, ho iniziato cantando in inglese, perché mi veniva naturale.
Vieni dall’esperienza promettente degli Young Wrists. Come mai vi siete sciolti?
Ho preso io questa decisione e il mio socio ne ha sofferto. Ma volevo portare avanti il mio progetto da solista, che esisteva già da prima e aveva la priorità. In questa fase della vita ho sentito che era la scelta più giusta.
Che spazio c’è per il punk di questi tempi?
Per me punk è tutto ciò che è vero. Non una forma ma un’idea. Una cosa dritta, senza mediazioni né schermi. E penso che oggi funzioni molto, perché la gente ha bisogno di verità. Il pubblico ti apprezza, se sente che stai dicendo delle cose vere, che non stai imbrogliando né giocando.