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Scoprire il profondo legame che unisce alcune opere d’arte contemporanee all’ambiente che le ospita dalla fine degli anni Settanta è emozionante. Come osserva Maurizio Calvesi nell’introduzione al catalogo della Collezione Burri a Città di Castello, esiste una continuità fra le grandi opere del passato, come quelle di Masaccio o di Piero della Francesca e le opere di un grande maestro dell’arte contemporanea come Alberto Burri. In realtà il comune denominatore fra la pittura rinascimentale e quella dell’artista di Città di Castello è il concetto di spazialità: dove la pittura si fa architettura, determinando la struttura dello spazio, sia che si parli della Cappella Brancacci di Masaccio sia che ci si riferisca a Palazzo Albizzini e agli Ex Seccatoi del Tabacco che ospitano le opere di Burri. Infatti la disposizione dei dipinti voluta dall’artista è tutt’altro che casuale rispecchiando un’unità di visione, oltre al fatto che le opere sono state concepite appositamente per essere esposte nel Palazzo Albizini e nell’Ex Seccatoio, contenendo fin dall’origine potenzialmente un rapporto fra spazio interno all’opera e spazio da questa indicato e fondato. Esiste nelle serie di dipinti di Burri un ripensamento dell’antico, nel quale le opere sono naturali eredi dei grandi cicli di affreschi o dei mosaici e delle vetrate delle cattedrali.
L’arte di Alberto Burri è un’arte ciclica: “L’ultimo mio quadro” egli diceva “è uguale al primo”. Cicli di dipinti come le Plastiche, i Sacchi, i Cretti, i Bianchi, i Cellotex, pur nelle loro differenze, legano anni e stagioni. Sono cicli dove si ritorna al punto di partenza, nell’eterna ripresa di un discorso, concepiti in funzione degli spazi in cui sono esposti. Palazzo Albizzini, in un luogo così culturalmente decentrato come città di Castello, è uno spazio fortemente voluto da Burri, che proiettò così la sua città natale in una dimensione internazionale. La Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri nasce nel 1978 e da allora promuove e cura studi sull’ opera del Maestro, pubblicazioni, cataloghi, mostre monografiche e collettive. Artefici del progetto di cui Burri fu iniziatore sono Mario Gambuli, allora presidente della Cassa di Risparmio di Città di Castello, poi primo Presidente della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri fino alla sua scomparsa e Nemo Sarteanesi, amico dell’artista e anch’egli pittore, divenuto poi Segretario Generale della Fondazione fino alla sua morte. Nella scelta di questo spazio contenitore delle sue opere Burri, pittore e scultore, si rivela anche architetto. Palazzo Albizzini ha un’area di 1660 mq. ed espone 129 opere realizzate fra il 1948 e il 1989.
Lo stesso discorso di continuità e di scelta da parte dell’artista di un recupero questa volta di archeologia industriale, vale per gli Ex Seccatoi del Tabacco, sempre a Città di Castello, che ospitano l’altra metà della Collezione. Adatti ad ospitare opere monumentali, gli Ex Seccatoi furono costruiti nel dopoguerra, quando l’economia della Val Tiberina era basata sulla coltivazione del tabacco, che cessò con gli anni Sessanta. Le volte altissime del fabbricato, che richiamano una cattedrale gotica, coprono un’area di 7500 mq.
Divenuto museo nel 1990, l’edificio ospita 128 opere realizzate fra il 1974 e il 1993. Sul prato antistante sono disposte gigantesche sculture.
Le opere di Burri sono tutte correlate: non se ne può evocare una senza tirare in ballo tutte le altre. Quella di Burri è un’opera corale. Ci si può imbattere nel Sacco del 1950 in cui la pittura simula la materia e la materia imita la pittura; o nel Gobbo del 1952, tentativo di uscire dallo spazio della tela e incunabolo per altre sculture; o nel Grande Bianco del ’52, rifiutato da Prampolini per la sesta mostra annuale dell’Art Club; oppure in Tutto Nero o in Rosso, entrambi del ’56, che fanno pensare tanto a Caravaggio quanto a Kounellis.
L’altissimo senso della qualità esercitato dall’artista nella scelta delle opere rimanda però al capolavoro assoluto che è il museo stesso. Tanto vale per entrambi i contenitori di Città di Castello.