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In un’Italia presa dal mondo della televisione, in cui sembra che senza la volgarità non ci sia la comicità, c’è ancora qualcuno che crede nel cabaret, che è alla ricerca di un nuovo genere di comicità. Max Boccasile e Carlo Maretti ne sono un esempio. "La nostra sfida più grande è quella di portare il cabaret in televisione" dicono i due comici baresi. Artisticamente unitisi dal 2007, Max Boccasile e Carlo Maretti stanno portando avanti un percorso artistico di carattere formativo per loro stessi e per il pubblico sempre più bisognoso di entrare in contatto con forme di cultura e spettacolo poco note. Loro tendono ad opporsi al mondo della televisione e del cinema italiano che molto spesso affrontano generi di comicità banali, che dilettano per pochi minuti e non tendono a costruire il bagaglio culturale dello spettatore, ma piuttosto a distruggerlo. Tutti i giovedì sera al Bohemien Jazz Cafè di Bari, Max Boccasile e Carlo Maretti, da circa un mese, si stanno esibendo con spettacoli di cabaret con l’aiuto di Marcello Introna, autore dei loro testi. Si autodefiniscono quasi come dei "pionieri" di un genere di comicità irreale per il ventunesimo secolo. Noi di LSDmagazine abbiamo intervistato i due comici, Max Boccasile e Carlo Maretti e Marcello Introna, l’autore dei testi:
Dove vi siete incontrati?
Max Boccasile: Ci siamo incontrati allo Zelig Lab e lì abbiamo deciso di unirci, artisticamente parlando. Cercavamo entrambi l’opportunità di fare cabaret a Bari e purtroppo non c’erano altri stimoli. Io, Max Boccasile, mi sono presentato al provino portando alcuni pezzi di Marcello Introna, che allora lavorava come autore ad Antenna Sud, e ho avuto la fortuna di incontrare Carlo Maretti. È stato un amore a prima vista. La colpa maggiore però è stata del buon Antonio Stornaiolo che già lavorava con Carlo, dopo la diaspora con Emilio Sofrizzi.
Nel vostro primo periodo, come guida c’è stato Antonio Stornaiolo. Quanto è stata importante la sua presenza e il suo sostegno?
Parecchio. Antonio tende spesso a distruggere quello che facciamo. Sono quasi 7 o 8 anni che lavoriamo con lui in teatro e la cosa bella di Antonio è che qualsiasi cosa proponiamo, secondo lui è stato già fatto. È tuttavia una cosa positiva, perché trovare qualcuno che ti dice che sei bravo in partenza in tutto quello che fai, non serve a nulla. Invece serve qualcuno che ti debba “spezzare le gambe” intelligentemente, come fa Antonio Stornaiolo e come ha fatto Emilio Solfrizzi. Credo davvero che sia qualcosa di positivo.
Antonio Stornaiolo è ancora al vostro fianco?
L’aiuto di Antonio è un aiuto spirituale che però si sente, infatti lui ci stimola sempre a scrivere testi nuovi, a proporre nuove cose. L’aspetto più bello è quello di poter lavorare al suo fianco e a quello di Emilio Solfrizzi, che sono i migliori maestri in Puglia, quindi poter prendere, rielaborare concetti che loro propongono: una base molto buona.
Come vedete la comicità di oggi? Può essere considerata come una forma di cultura?
Carlo Maretti: Innanzitutto bisogna fare una distinzione : tra quella nazionale e quella locale. Quella sul piano locale può essere considerata come un altro genere di comicità. Io non la chiamerei vera e propria comicità: qui ci sono commedie in dialetto o barzellette (entrambe scambiate per cabaret). Sul piano nazionale la situazione è differente, il cabaret viene concepito con altri meccanismi.
Max Boccasile: Ritengo che il concetto sia racchiuso nella frase "Video killed the radio star". Come un tempo la televisione ha ucciso le star della radio, oggi essa stessa sta uccidendo le star del cabaret. Il cabaret su cui si sta lavorando oggi, sul territorio nazionale, è un cabaret televisivo basato su dei pezzi di massimo 3 minuti. Il cabaret non è solo quello che vediamo a Zelig, su un comico che vediamo nei programmi televisivi ce ne sono cento più bravi che non andranno mai a Zelig perché non riescono ad esprimere un pezzo in pochissimi minuti, troppo limitato.
Cosa si potrebbe fare per aiutare e facilitare la diffusione del cabaret?
Invitare le persone ad andare a teatro. La gente dovrebbe affollare i luoghi e i locali dove si fanno spettacoli di cabaret. È necessario conoscere tante più cose possibili per poi poter dire cosa realmente ci piace. Se la gente conosce questa forma di arte soltanto attraverso la televisione, allora non può criticare gli altri o fare dei paragoni. Prima di parlare o esprimere giudizi è fondamentale essere informati. Ad esempio a Milano ci sono dei luoghi come il Caffè Teatro a Verghera di Samarate che è un tempio del cabaret, dove ogni sera si lascia lo spazio a decine di cabarettisti, famosi e non. Ci sono cabarettisti mai apparsi in tv, dotati di un grande talento come Eugenio Chiocchi, che pochi conoscono. Capita troppo spesso di dire che è bello tutto quello che appare in televisione, come del resto la pubblicità ci ha abituato a fare. L’invito è quello di farsi una cultura.
Quali sono gli aspetti positivi dei laboratori comici che state organizzando?
Carlo Maretti: Il bello di questa situazione è che noi, che siamo sul palco, ritroviamo il cosiddetto “cazzedio”, quello fatto con il pubblico in cui non ci sono barriere. Vai sul palco e dici quello che vuoi in quanto tempo vuoi. A me sembra di vivere un’esperienza anni ’50.
Max Boccasile: Comunque bisogna considerare che ci sono delle regole per partecipare al laboratorio, non si può salire sul palco e pronunciare le prime tre fesserie che ti vengono in mente. Dietro uno spettacolo, c’è una lunga preparazione, ci sono delle prove che facciamo nell’arco di un’intera settimana in modo tale da creare dei testi che abbiano dei contenuti. Questo lavoro lo dovrebbe fare soltanto chi ha qualcosa da dire, molti, non volendo lavorare, ritengono questa una buona opportunità per far fortuna, ma non è assolutamente così. Molti si improvvisano cabarettisti, ma non lo sono e rovinano il mercato. Ci vuole rispetto per il palco, non tutti possono salirci e per farlo bisogna avere la coscienza di quello che si dice. Noi nel nostro piccolo, stiamo tentando di far crescere questa coscienza, senza nessuna superbia. Facciamo ciò in cui crediamo e cerchiamo di farlo al meglio.
Come stanno andando le serate al Bohèmien?
Marcello Introna: Il nostro è un esperimento che sembra funzionare. Siamo al terzo giovedì di laboratorio ed è il terzo giovedì in cui c’è il tutto esaurito, nonostante il giovedì sia una giornata abbastanza “morta”.
Max Boccasile: La cosa positiva è che noi siamo in concomitanza fortuita con il laboratorio Zelig che si tiene a Trani, quindi involontariamente ci stiamo facendo concorrenza. Questo ovviamente avviene in maniera bonaria, perché noi stimiamo il loro lavoro. Il giovedì è il giorno del cabaret, se avessimo organizzato le serate di sabato tutto sarebbe stato più semplice. Ovviamente tutto questo è possibile grazie ai comici che stanno frequentando questi laboratori. Ci sono persone che fanno cabaret da 30 anni che si mettono in gioco e danno la possibilità ad un ragazzo di 28anni di dire che un loro testo non è buono. È molto difficile, ci vuole grande capacità e maturità artistica. Un ringraziamento va anche a Controradio e Telenorba.
Carlo Maretti: Io credo che ci stiamo veramente mettendo in gioco e stiamo cercando di vincere su più fronti: c’è "la sfida" con il laboratorio Zelig, quella, forse la più difficile, di portare il cabaret a Bari e soprattutto di farlo di giovedì. Fino ad ora ci sta andando bene, la gente ha desiderio di un certo tipo di cultura.
Si potrebbe portare il cabaret in televisione?
La nostra sfida sarebbe più completa qualora riuscissimo a portare il cabaret in televisione, ma obiettivamente questo è veramente difficile. La gente, inebetita da anni di stupidaggini, non aspetta altro che sentire barzellette di pochi minuti per poi continuare a fare le proprie cose, la gente che vede la tv non ha voglia di stare a seguire un filo logico, un filo del discorso.
C’è qualcuno nel mondo dello spettacolo a cui vi ispirate?
Carlo Maretti: Siamo stati sempre accostati a Toti e Tata, ma noi cerchiamo il più possibile di essere Carlo Maretti e Max Boccasile.
Max Boccasile: Questa associazione che fanno ci fa grande onore. L’essere paragonati a loro è davvero una cosa positiva. Io spero nel futuro di poter raggiungere i loro livelli, c’è molta stima nei loro confronti che hanno veramente cambiato il modo di fare comicità.
Un autore oggi come scrive per i comici?
Marcello Introna: Io sono contro i limiti di tempo, come quello di tre minuti di cui parlava Max, è una censura terrificante. È come se l’arte, o comunque una forma d’arte, si debba adeguare ai tempi televisivi. La gente deve veramente ritornare nei teatri, la televisione rimbecillisce. Come autore ritengo che ci siano tantissimi comici bravi che non sono famosi perché ultimamente conta non tanto la prontezza di spirito, la capacità di improvvisare, l’avanspettacolo di cui si parlava un tempo, quanto la capacità di stare dietro a queste regole assurde imposte dalla tv. Non è facile costruire un pezzo che inizia, si gonfia ed esplode tutto in soli tre minuti, come ad esempio pretendono a Zelig.
Quando Lei scrive i testi a cosa pensa?
Marcello Introna: A me piace scrivere a 360 gradi. In realtà quando ho il compito di scrivere qualcosa, sono preso dall’ansia, ma poi passa. Mi metto davanti al computer ed esce sempre qualcosa di buono. Io ho un gusto molto cinico, un po’ cattivello. Questo lo considero un lavoro molto remunerativo perché quando vedi la gente ridere ti senti davvero ripagato.
Foto di Pierangela Missoni, la vignetta è di Pierfrancesco Uva