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Sempre impegnato, tra studio, lavoro ed eventi, promotore di se e della sua arte Vincenzo Mascoli offre una visione personale e significativa della ritrattistica contemporanea. I suoi volti sono stati esposti un pò ovunque da Bari a Roma, da Taormina a New York e trovano posto nelle migliori gallerie nonchè nel salotto di Luca Cordero di Montezemolo, ed è solo l’inizio. Attualmente al Teatro Bravò con la mostra personale "Mi Me Si", Vincenzo Mascoli offre a noi di Lsdmagazine una visione il più possibile completa di se.
I tuoi dipinti possono essere definiti senza ombra di dubbio seriali. Nascono dall’esperienza newyorkese?
Si lo sono volutamente, e mi piace l’idea che poi possano essere visti come dei fotogrammi, come un racconto nel racconto o parte di un lungometraggio visivo che si trasformi in una descrizione sociologica.
L’influenza del periodo Newyorkese si fa sentire soprattutto nel metodo. Lì se hai talento e lavori hai le tue occasioni e ti sparano un enorme dose di entusiasmo, voglia, obbiettivi che realmente si trasformano in occasioni anche perché è un paese "brutalmente" meritocratico, parola che spaventa noi italiani.
Inoltre quell’esperienza mi ha dato consapevolezza non di diventare un grande artista o semplicemente artista, ma di avere una strada e di poter dire qualcosa, di avere un mio spazio. Poi il tempo dirà se potrò esserci.
I soggetti come vengono scelti?
Ti dirò una cosa: questa domanda mi ha fatto riflettere. I soggetti per me non sono importanti ma se questi raccontano e arrivano allo spettatore funzionano.
Quindi lavoro in funzione di una comunicazione che arrivi prima a me e poi agli altri.
Ovviamente nei volti il gioco diventa interessante. Cerco di spiegarmi: il volto è banalmente stato interpretato dagli artisti da sempre quindi non racconto nulla di nuovo.
Il mio è un progetto che prevederà un istallazione di 1000 pezzi dove si possono leggere posizione, atteggiamento, egocentrismo dei soggetti in un collage che ha come sfondo la loro storia.
Ecco il racconto nel racconto, il volto perde la sua importanza e tutto il progetto diventa quasi un indagine sociologica che non dimentichiamo va inserita in questo contesto socio-culturale fatta da internet e da una voglia di esserci che emerge anche in quelli più timidi.
Nella collezione “Face” vi sono molti ritratti di personaggi politici e più in generale noti; hanno una volontà esplicativa o sono casuali?
Non ci sono gerarchie anzi ci sono architetti, dottori, contadini, imprenditori, politici, gente nota e meno nota che vengono rappresentati e marchiati con una sigla. Ovviamente conosci quelli noti ma questo non toglie che ci sono tutti .
L’accostamento immediato che si può fare al tuo modo di produrre arte è quello con il capostipite Andy Warhol. Pensi che questo sia per te un vantaggio?
Andy Warhol ha modificato l’approccio all’arte in tutti i campi contaminandola quasi sporcandola, oltre ad altri innumerevoli cose come ad esempio l’esserci sempre ricordiamo che Andy è figlio di immigrati, pubblicitario, e ricordiamo anche che quello che produceva la sua arte andava da un museo ad un ristorante ad un supermercato e tutto questo è conducibile al concetto che l’arte doveva essere consumata e questo concetto io l’adoro anche perché è legato al popolo e che non esiste arte di serie A o arte di serie B.
La produzione di notevoli quantità di tele, riconoscibili e che possano essere nello stesso momento in più parti del pianeta è anche questa una strategia di mercato introdotta nell’ambito artistico da Andy Warhol, si ricordi la Factory. Ti senti vicino a questo modo di “produrre” arte?
Ho un rapporto di odio e amore sulla produzione ma è una cosa che devo fare e che per me diventa uno stato ansioso devo dipingere, dipingere, dipingere lo ripeto spesso e devo farlo per me ma poi credo, ultimamente, anche di godere un pò quando vedo la gente che si chiede come faccio a stare ovunque, non saprei se è un bene o un male forse sono fatto strano.
Comunque non ti nascondo che sono molto ipercritico verso i miei lavori, l’ultimo è bello ma non credo di aver fatto qualche lavoro veramente bello, forse il prossimo sarà il più bello, non so. Sai mi capita di rivalutare quelli meno riusciti, conscio che possono sempre avere un perché.
Ci potresti spiegare secondo te qual è la differenza tra un oggetto d’arte e un’opera d’arte?
Credo che non ci sia più differenza tra oggetto d’arte e opera d’arte sono la stessa cosa. La differenza sta nelle parole, l’oggetto si presume sia posseduto, l’opera d’arte non l’avrai mai. Credo che dopo quello che è stato fatto noi possiamo solo fare oggetti d’arte. Ricordiamoci sempre che ci sono stati Michelangelo, Caravaggio, Picasso e molti altri ma che in tal caso c’erano famiglie aristocratiche che un Caravaggio dovevano averlo, dunque tutti questi discorsi ti fan capire che io non voglio capirla questa differenza. Credo, più che altro, che se c’è la parola "arte" essa ti permette di poterci anche giocare l’importante è esserne consapevoli.
Pensi che nella carriera artistica sia più importante la quantità o la qualità?
Leggo sempre quantità e qualità come se una escludesse l’altra, ma penso che non sia un difetto se un artista produce e anche tanto, se si laurea con lode, se si specializza, se è curioso, se viaggia, se ama le mostre, e se è un finto pessimista ma ama tantissimo la vita, un ragazzo più che un artista che si sveglia alle sette del mattino per rientrare alle due di notte che deve produrre per vendere. Io mi diverto perché questa domanda me la girono in molti ma sinceramente in pochi poi cercano di capire chi sono e qualcuno mi ha insegnato che l’arte contemporanea è l’artista, ma quando vogliono se lo dimenticano.
Il concetto di qualità nell’arte tu come lo interpreti?
Io ho deciso di non farmi più domande perché da noi si parla troppo si pensa troppo ma credo si agisca pochissimo, il mio ruolo, ma lo dico per me e lo ripeto a me stesso, è quello di dipingere anche per un sorriso di un benzinaio che guardando le opere in macchina all’ingresso di Bari esclama: "moo ce so bell!" forse avrà ragione, ma lui non è ritenuto degno di un giudizio.
Poi il tempo mi dirà…mica sono arista io