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L’Italia non sarebbe uno stivale senza il tacco della Puglia. Luogo di frontiera e di continuo scambio tra terra e mare, ma anche campo di invasione e di accoglienza, di scontri e di incontri che hanno prodotto un meticciato culturale fondato su una stratificazione complessa di civiltà,
Avvocato esperto di diritto d’autore e dei beni culturali, presidente del Centro Studi di Diritto delle Arti, del Turismo e del Paesaggio, profondo conoscitore della Puglia e delle sue bellezze, Enzo Varricchio, nel suo romanzo, si cimenta con un nuovo genere letterario, a metà strada tra fiction e realtà, tra saggio e cronaca. Un romanzo giallo a sfondo esoterico, il cui strano omicidio-suicidio che turba la quiete di Rosamarina, dà il via ad una storia di misteri che dalla vita vacanziera degli abitanti di Rosadimare arriva a scomodare San Nicola di Bari. E si mescola alla guida delle bellezze artistiche pugliesi, in un viaggio che assume i tratti del dantesco. Tra realtà e fantasia Enzo Varricchio riesce a rapire e a coinvolgere, costruendo una trama incalzante e avvincente grazie ai simbolismi della religione e dell’arte. Molte critiche potrebbero abbattersi su questo libro a causa delle ‘discutibili’ ipotesi, profezie e ricostruzioni storiche e documentali, ma ‘Quell’estate prima della fine del mondo’ va letto come una storia, non come un libro di storia. E’ un romanzo in cui finzione e realta’ si intrecciano a seconda della fantasia, della forza narrativa, della volonta’ di stupire e far parlare di se’ dell’autore, non un saggio con la pretesa di portare alla luce verita’storiche e di documentare avvenimenti realmente accaduti. In fondo, un libro e’ proprio questo: uno stimolo al ragionamento e alla riflessione; ma anche evasione, divertimento, svago.
Scritto in una prosa accurata, ‘Quell’estate prima della fine del mondo’ mescola trame gialle e affascinanti ricostruzioni storiche, riferimenti letterari e riferimenti giuridici, riflessioni sulla scienza e sulla fede, sulla morte e sulla resurrezione di Cristo, sull’immortalita’ e sul mondo del paranormale. E gli interrogativi si srotolano dalla prima all’ultima pagina, investendo in pieno viso il lettore. Un romanzo storico, poetico, avventuroso, filosofico, artistico, comico, ma anche un ritratto della nostra epoca e una denuncia delle sue contraddizioni. Un romanzo in cui l’azione e la suspense si attenuano solo per pochi istanti, per poi tornare alla carica e travolgerci senza remissione, fino ad un finale a sorpresa che risolve tutti gli enigmi, ma che pone nuovi, inquietanti interrogativi.
Lo scrittore concede a noi di LSD Magazine una lunga chiacchierata, nella quale ci parla di sè e ci guida nella lettura del suo libro.
Avvocato, critico d’arte, profondo conoscitore della Puglia e delle sue bellezze, scrittore. Chi, tra questi, rivela meglio Enzo Varricchio?
Se è per questo, ci sono molti altri Varricchio che lei non conosce e forse nemmeno io li conosco tutti. Siamo Uno, nessuno e centomila, come Vitangelo Moscarda, il protagonista del romanzo di Pirandello che preferisco. Non mi piacciono le etichette perché ci incatenano: è bello vivere attimo per attimo la vita, rinascendo continuamente in modo diverso.
Comunque, ho sempre nutrito grande curiosità nei confronti di tutti i rami dello scibile, perché credo che anche il sapere non conosca confini ed etichette. Ad esempio, penso che il diritto sia una forma d’arte quanto l’arte, anelando la verità, sia una forma di giustizia. Per questo, come avvocato, mi occupo di una materia nuova quanto ibrida: il diritto delle arti. Per la stessa ragione, nel mio romanzo l’arte e la storia convivono pacificamente con la fisica e la biologia. Purtroppo, spesso abbiamo bisogno di cucirci un abito per riconoscerci, allo stesso modo in cui a scuola ci insegnano che esistono le divisioni tra le materie: non è vero, l’uomo è un essere poliforme così come la conoscenza è un tutto, una globalità inscindibile.
Gianrico Carofiglio, Giancarlo De Cataldo, Giuseppe Scelsi, solo per citare alcuni dei giuristi pugliesi che, come lei, si sono scoperti anche scrittori. Come nasce in un giurista la passione per il romanzo?
Ci sono sempre stati giuristi scrittori, non solo tra i pugliesi. Il giurista è sempre a contatto con la narrazione: le deposizioni dei testimoni, i resoconti dei periti, le arringhe degli avvocati, le sentenze dei giudici altro non sono che una forma di racconto; il processo stesso è una specie di romanzo, proprio perché ricostruisce una sola delle molteplici visioni possibili di un evento. Se poi, a questo, si aggiunge che le storie conflittuali che portano a uno scontro processuale, non solo in ambito penale ma anche civile, ad esempio tra moglie e marito, contengono spesso elementi avventurosi e appassionanti, il gioco è fatto. Il giurista è sempre un romanziere potenziale, uno scrittore in nuce.
E poi, purtroppo, ai nostri giorni i Tribunali somigliano sempre più a dei set televisivi se non a teatri di farsa. Sicché, la voglia di raccontare alcune parabole dell’assurdo che ci capita di affrontare prende il sopravvento e talvolta ci fa persino cambiare mestiere.
Perché la scelta di un giallo esoterico per il suo primo romanzo?
Il mio è un romanzo che cerca di grattare la patina ufficiale che nasconde la verità sul mondo: il contrario della superficiale moda del misterico oggi dilagante. Esoterico per me equivale a nascosto, con specifico riguardo a eventi della storia che non troviamo narrati nei libri di scuola. Sfruttando la macchina narrativa del thriller, cerco di investigare le organizzazioni e i personaggi che nei secoli si sono dedicati alla ricerca della pietra filosofale o dell’elisir di lunga vita. La storia dell’esoterismo è stata scritta da personalità di primo piano. Solo per fare degli esempi, cito Isac Newton per la scienza, Giordano Bruno per la filosofia e William Butler Yeats per la letteratura. Senza contare alcuni insospettabili esoteristi come Robespierre, dedito alle evocazioni spiritiche o i massoni Garibaldi e Mazzini. D’altro canto, anche lo stesso Gesù Cristo praticava la magia, come riferiscono i Vangeli, tanto da scontrarsi a singolar tenzone con Simon Mago.
Ricostruendo le trame esoteriche, cerco di raccontare fatti molto vicini a noi, come i servizi segreti, le morti sospette, i mille misteri irrisolti della storia italiana: dalla strage di Ustica, all’omicidio di Mattei, alla scomparsa di Emanuela Orlandi.
Sin dal titolo, “Quell’estate prima della fine del mondo’, vengono anticipate alcune delle tematiche contenute nel libro. Ce ne vuole parlare?
Anche la copertina, disegnata appositamente dal bravissimo Roberto Stefanelli, mostra una persona in una posizione Yoga a testa in giù, alludendo a questo mondo capovolto in cui viviamo.
In realtà la fine del mondo la stiamo vivendo quotidianamente: le catastrofi naturali e artificiali, l’America che vacilla come un gigante dai piedi d’argilla, l’Europa che sembra un malato terminale tenuto in vita artificialmente, l’Italia divorata dalla corruzione e impoverita dall’antimeritocrazia, sono i sintomi avanzati della decomposizione del vecchio sistema di vita.
Ironizzare sulla fine del mondo, paura delle paure, è un modo per cercare di cambiarlo, un tentativo di salvarlo. Nel libro faccio delle facili profezie. Alcune purtroppo si stanno già avverando: le proteste di piazza, la disgregazione dell’Unione Europea, la formazione di macroregioni o microstati in Italia, la nomina a primo ministro di un banchiere bipartisan per tentare di salvare il salvabile. Altre spero proprio di averle sbagliate.
Il romanzo cerca di stimolare tutti a un vero cambiamento, l’unico possibile ed estremamente necessario: il cambiamento di noi stessi. Se non cambieremo le nostre cattive abitudini individuali, noncuranti dei piccoli orticelli di ciascuno, non ci sarà via di fuga dal tracollo politico, economico e morale.
Ho sempre viaggiato per questa nostra terra e scritto molto sulla sua storia e la sua arte. Però quella che preferisco e che descrivo nel romanzo non è la regione dei monumenti famosi o dei grandi eventi. E’ una terra selvaggia e affascinante, piena di luoghi fantastici talora sconosciuti agli stessi pugliesi, come Sovereto di Terlizzi o la chiesa di santo Stefano e Sofia a Soleto nel leccese, oppure la cripta di Casalrotto a Mottola, soprannominata la “Cappella sistina” della civiltà rupestre.
Tra le sue pubblicazioni, oltre a quelle di carattere giuridico, artistico e letterario, spiccano quelle sulla vita e le opere del Santo Patrono di Bari, San Nicola. Da cosa nasce tale interesse?
San Nicola occupa un ruolo fondamentale nella mia vita e nel mio romanzo. Ma non dal punto di vista esclusivamente religioso. Egli è un potente generatore di storie, di racconti. In miei saggi precedenti mi sono occupato di quello che io chiamo il “mitema nicolaiano”, cioè il complesso di fatti, leggende, personaggi che nei secoli hanno tratto origine da questa figura. Personalmente, sono stato sempre affascinato dalla sua umanità. Non a caso, è protettore di un numero sterminato di categorie antropiche, dai fanciulli, ai gioiellieri, ai pescatori, ai ladri, ai maestri pirotecnici. La sua biografia leggendaria ci insegna molte più cose sulla vita terrena e sui comportamenti degli uomini e delle donne piuttosto che sulla santità e sullo spirito. Si pensi anche alla sua eccezionale capacità di riciclarsi: da santo bizantino a santo latino, poi Santa Claus e infine Babbo Natale. L’antropologo Claude Levi Strauss ebbe a definirlo una figura di convergenza, insomma un meraviglioso contenitore e diffusore culturale, una miniera di spunti narrativi.