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Dopo due anni di dibattiti e confronti finalizzati alla ricerca di un’opinione comune su come rilanciare nel modo più sensato possibile il mercato del libro e dell’editoria in generale, il cui grosso problema forse non è solo il costo al dettaglio, nasce il decreto legge Levi n. 1257.
La sua approvazione in via definitiva, con consenso bipartisan, è avvenuta lo scorso 20 luglio ma è dal 1° settembre che la cosiddetta “legge Levi”, dal suo primo firmatario Ricardo Franco Levi, entra in vigore. Il già ribattezzato “provvedimento anti – Amazon” , famoso colosso mondiale dell’e-commerce, prevede un tetto massimo del 15 per cento di sconto applicabile da tutti i venditori grandi o piccoli, on-line o no, con la possibilità di salire fino al 20 per cento nel caso in cui l’offerta sia presentata all’interno di un salone del libro o sia destinata a organizzazioni senza scopo di lucro a biblioteche, musei pubblici o università e istituti scolastici; ed un tetto massimo del 25 per cento di sconto applicabile dagli editori solo però nell’ambito di promozioni non ripetibili e della durata massima di un mese, ad esclusione di dicembre.
Com’era facile intuire il provvedimento a soli pochi giorni di vita ha già detrattori pronti a dare battaglia perché venga ristabilita la condizione precedente in cui chiunque, in modo apparente o reale, riusciva ad avere il suo guadano/risparmio. Cosi i lettori più accaniti, già riunitisi in associazioni di categoria, si stanno dando un gran da fare per riuscire a sovvertire l’ordine delle cose. D’altro canto editori e studiosi del settore accolgono come una manna dal cielo una legge che nel nostro Paese si è fatta attendere, dato che non siamo certi i primi a regolamentare sconti da supermarket in un ambito che di supermarket non dovrebbe avere davvero nulla. Infatti in tutti i Pesi europei, escluso il Regno Unito, il prezzo dei libri è disciplinato: in Francia e Spagna lo sconto massimo è del 5 per cento, in Germania – udite udite – non esiste sconto. Eppure nonostante tutte queste “limitazioni” nei nominati Paesi la percentuale di lettori è più alta che nel Nostro, dato che evidenzia quanto non siano gli sconti a far aumentare le vendite ma bensì le politiche di promozione della cultura del libro che in Italia sono del tutto assenti; perché, non dimentichiamoci, l’editore in quanto imprenditore è normale che persegua un guadagno e non una politica assistenzialista alle fasce più povere (recriminazione che in molti hanno mosso a questa legge), cosa che invece è compito di chi la politica la fa davvero e sarebbe giusto si ricordasse delle biblioteche pubbliche in totale stato di degrado, sempre nel caso esitano. Dunque un polverone sollevato in un contesto in cui la metà della popolazione non legge nemmeno un libro l’anno? A buon diritto si può dire che questo è il vero dato preoccupante. Senza contare che per restare fedeli alla logica secondo cui i libri godono di un’IVA agevolata al 4 per cento, non al 20 per cento come un qualsiasi altro bene di consumo, dovrebbe venir logico pensare che la competizione tra editori e venditori dovrebbe essere basata sui servizi resi, dato che un appassionato lettore sa certamente stimare il prezzo di un buon lavoro di editoria nonché la competenza del libraio. Si il libraio, figura quasi mitica ormai scambiata per più economici commessi.
Ma per chi ancora in questo decreto legge non riesce a vederci nulla di buono non gli rimane che optare per l’editoria informatizzata, gli EBook, libri virtuali che non sono soggetti alle nuove norme ma che da sempre non godono dell’IVA agevolata. Insomma fate un po’ voi i conti.