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La direzione intrapresa dai Paramount Styles è delineata sin dalle prime battute del nuovo Heaven’s Alright: armonia cupa avviluppata ad un ritmo risoluto, in un connubio che da sempre contrasta e ammalia. Scott McCloud, voce scura e tormentata con chitarra Gibson acustica al seguito, si lascia accompagnare dal beat regolare e denso di Alexis Fleisig alla batteria. Dopo Failure American Style, il duo conferma il lungo sodalizio e torna a collaborare anche per questa incisione.
Il risultato è rock, non à la page, non di quelli usa e getta. Tradizione e innovazione si intersecano nei dieci brani composti dalla coppia risorta tra le ceneri dei Girls Against Boys (pregiata tessera del puzzle indie americano negli anni ‘90). Scott è il megafono di un gruppo che per sua stessa ammissione vuole creare un nuovo corso, affrancando un mood “senza martellare in testa come ai tempi dei Girls Vs Boys”. Si riduce il caos elettrico rispetto al passato: meno watt dai Marshall, più chitarra acustica. La grinta non muta ma la rabbia è trattenuta, custodita e mai completamente impiegata ad uso e consumo del più puro clangore.
Indipendentemente dal suo proclama, Heaven’s Alright è, a tutti gli effetti, un disco intriso di elettricità, ma poco condivide con gli altri progetti coordinati da McCloud. I Paramount Styles montano un propulsore che non si presta a rapide accelerazioni o a partenze brucianti, un diesel che scarta percorsi hardcore. Take Care of Me, suono arioso ma risoluto (con tanto di chitarre sature e bassi pompati) è introduzione ideale, manifesto di un album che contempla interazioni elettriche, acustiche, elettroniche e citazioni di classica. Schiude il suono grazie agli strumenti della tradizione rock, attenua il vigore con inserti di violoncello ed enfatizza lo spirito root d’oltreoceano grazie al canto greve e alla chitarra acustica. Tutti i brani ne evidenziano l’acceso strumming mentre The Greatest abbraccia la causa elettronica. Desire Is Not Enough è l’eccezione che conferma la regola: scalcia e lascia presagire, nelle performance dal vivo, uno slancio vorticoso di grande impatto. Riflessive risultano la pianistica Steal Your Life e la sussurrata Stay Alive. Il suono profuso a più riprese dal cordofono di Julia Kent (già con Antony and the Johnson’s) risulta sostanziale e particolarmente incisivo in The Girl of Prague. A lungo sospesa e stridente, Come to Where You Are svolta in ambito noise e nell’ultimo minuto incluso nell’album, McCloud evoca lo spirito della sua precedente vita. Peccato per la mancanza dei testi nel libretto ma con la voce che si ritrova, Scott potrebbe anche cantare un limerick senza scontentare alcuno.
I Paramount Styles – da settembre in tour – reiterano un’estetica rock che non ha smesso di affascinare e che ha consentito l’evoluzione della musica contemporanea.