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La mostra Dalì il genio, inaugurata il 28 maggio nelle sale del Castello Aragonese di Otranto (Lecce), sarà visitabile fino al 25 settembre. Curata da Alice Devecchi, l’esposizione accoglie sei sculture originali in bronzo, (fra cui l’enorme Elefante cosmico collocato nel cortile) e una selezione di cinquantaquattro incisioni originali che illustrano temi e testi letterari: dal clima gotico del romanzo settecentesco Il Castello di Otranto, a Tristano e Isotta, agli Amours Jaunes, alle Fiabe Giapponesi. Le sculture in bronzo sono la materializzazione dei personaggi dell’opera grafica che sembrano privi d’ossa, ognuno narrando la sua storia eroica. Obiettivo di Dalì è tenerci fuori dal suo universo mentre tentiamo di penetrarlo. Seguace delle teorie freudiane, il pittore surrealista si rivolge all’inconscio di chi guarda, provocando una serie di automatismi mentali che lo spettatore deve sentirsi libero di attuare senza voler risolvere gli enigmi che gli vengono posti. Secondo il predicato surrealista l’inconscio del fruitore deve produrre autonomamente immagini psichiche, rompendo gli argini delle abitudini percettive. Dalì concede anche un ruolo importante al testo letterario che illustra, da una parte attenendovisi, dall’altra trovando infiniti spunti per dar corpo alla sua personale interpretazione.
Il percorso espositivo inizia con le illustrazioni ispirate al Castello di Otranto, romanzo col quale l’ inglese Orace Walpole, diede vita al genere letterario gotico. Lo scrittore, mai stato a Otranto, ambienta tuttavia nel castello aragonese gli eventi narrati che, secondo lui, vi si attagliano perfettamente. La storia ruota intorno all’improvvisa comparsa nel castello di un elmo gigantesco, le cui proporzioni fuori misura lasciano supporre l’esistenza di un gigante. L’evento semina il terrore nella residenza principesca, innescando una serie di storie d’amore, morte e successioni dinastiche. L’elmo è il vero protagonista delle acqueforti di Dalì che si compiace della sua surreale dimensione. Infatti, uno dei dettami del Surrealismo è lo spiazzamento e il disorientamento dello spettatore di fronte alla sproporzione fra le cose. L’elmo ha un ruolo chiave nello svolgimento della trama. Le inquadrature anomale ne sottolineano la grandezza. I primissimi piani dei personaggi principali, tratteggiati con pochi segni sottili, fanno sì che essi sembrino espandersi fuori dal foglio. Per dare l’idea di un’epoca remota (Walpole ambienta il romanzo nel Cinquecento), l’artista usa un anacronistico bianco e nero e la tecnica dell’acquaforte.
La mostra continua con una serie di incisioni a puntasecca sulla storia di Tristano e Isotta che agiscono su un palcoscenico senza fondale, come senza tempo è il mito del loro amore tragico, che stuttura, secondo De Rougemont, il modo occidentale di amare: amore come passione, passione come sofferenza, amore dell’amore al di sopra di tutti i vincoli cortesi e istituzionali, amore della morte come vittoria della passione (sofferenza) sul desiderio.
Dalì, seguace delle teorie psicanalitiche, fa di esse una guida nell’arte e nella vita. La vicenda di Tristano e Isotta gli riesce congeniale per il suo altalenare fra amore vitale e amore mortifero. L’artista sceglie per illustrarla una puntasecca colorata, là dove il colore è dedicato solo ai due protagonisti: ampi abiti azzurri per Isotta e grigie armature per Tristano. I personaggi secondari sono delineati in modo più vago e hanno solo funzione di contorno alla vicenda principale.
Les Amours Jaunes sono in qualche modo legati a Tristano e Isotta: l’autore di questa raccolta di poesie è il poeta maledetto Tristan Corbiére, che mutua il suo pseudonimo proprio dal cavaliere cortese. Lo stesso nome ha una radice che rinvia alla tristezza oltre a ricordare la condizione di amante inappagato del poeta francese. In Corbiére come in Dalì che ne illustra le poesie, emerge una dimensione d’incubo, l’angoscia disperata dell’esistenza. Gli Amori Gialli vengono letti dall’artista spagnolo in una chiave di erotismo patologico: l’amore di Tristano è malato, e perciò “giallo”, fine a se stesso e si crogiola nella sua sfortunata condizione.
Il sesso degli esseri raffigurati è reso iperbolicamente, mentre il giallo diventa oro glitterato in una inversione di valore tra la preziosità cui il nobile metallo rimanda e il giallo malaticcio a cui si riferisce. Il suo brillare evoca un’atmosfera tra sogno e incubo fedele al senso d’angoscia delle poesie di Corbiére. Dalì si ispira a ciò che ogni verso evoca nel suo inconscio, esercitando così il meccanismo della libera associazione e dell’automatismo psichico che alimenta la produzione di immagini simboliche. Lo stesso Corbiére affida il suo poetare all’automatismo verbale.
La terza sezione della mostra è dedicata alle Fiabe Giapponesi, dove Dalì si apre all’Oriente. La fiaba giapponese ha una struttura diversa da quella occidentale, in cui l’eroe tende a riscattare la malvagità del mondo. Nella fiaba orientale vi è l’accettazione di bene e male come due facce della stessa medaglia. La realtà è immutabile. Invece di esservi un percorso lineare vi è circolarità: tutto torna al punto di partenza, pronto a ripetersi. Dalì aggira l’ostacolo della distanza fra le due culture utilizzando il linguaggio universale del cartone animato. La serie Fiabe Giapponesi sembra preparatoria per un’animazione. I colori tenui, le ampie campiture, le tinte pastello conducono lo spettatore in un mondo immaginario, senza tempo, dove elementi magici e soprannaturali diventano plausibili.
Nel 1946 l’artista catalano aveva collaborato con Walt Disney per la realizzazione del film di animazione Destino. Il retaggio di questa incursione nel mondo del cartone animato viene recuperato da Dalì nelle Fiabe Giapponesi, dove il legame tra un foglio e l’altro viene stabilito attraverso espedienti visivi come l’uso del rosso o del viola, che staccandosi dai pallidi fondali segnano una continuità. Ricorrono scene agite su palcoscenici resi con poche lunghe linee in prospettiva. Dalì inventa un apparato figurativo inedito che lo rende quasi irriconoscibile: i personaggi hanno insoliti tratti somatici, abiti e copricapi inusuali. Non troviamo i corpi distorti e allungati cui siamo abituati nell’arte di Dalì, né immagini ambigue, come se la stranezza di una cultura lontana e diversa avesse già in sé elementi surreali sufficienti.
Le sculture in bronzo esposte a Otranto interpretano a tre dimensioni ogni storia raccontata nelle incisioni: Traiano a caballo si traduce in un cavaliere della serie Il Castello di Otranto, Perseo e
La mostra Dalì il genio è accompagnata, sempre nel castello aragonese di Otranto, da una rassegna collaterale intitolata Oltre Dalì, in cui artisti contemporanei interpretano il linguaggio dell’artista catalano.
DALI’ IL GENIO
OTRANTO CASTELLO ARAGONESE
28 maggio-25 settembre 2011
Giugno e settembre ore 10-13/15-19
Luglio e agosto ore 10-24