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Una delle cause più probabili della crisi economica e finanziaria degli ultimi anni in Europa e nel mondo è probabilmente da attribuire alle difficoltà di affrontare con regole antiche la nuova economia e la così detta “globalizzazione” o, meglio, mondializzazione dell’economia.
Dal 1971, allor quando con la realizzazione del Sistema Monetario Internazionale e la regola del Gold Exchange Standard, cioè la non convertibilità del Dollaro Statunitense a causa della crisi economica di quegli anni, definita “crisi petrolifera”, il Sistema Monetario non era più basato sull’Oro ma sul Dollaro. La cosa nei fatti era già in quei termini sin dalla fine della II Guerra Mondiale e dalla crisi del 1929. Fu, però, ufficializzata nel 1971. L’emissione di moneta da parte di quasi tutti gli Stati, quindi, fu quindi sganciata dalle riserve auree.
La CEE realizzò un suo Sistema Monetario Europeo al fine di mantenere stabili i cambi delle monete degli stati Comunitari, e ideò una moneta virtuale l’E.C.U. (European Current Unit), per favorire gli scambi commerciali tra gli Stati membri e tra questi ed il resto del mondo.
Nel 1992-99 si crearono le premesse per la moneta unica europea e nel 2002 questa fu realizzata ed entrò in vigore. L’Unione Monetaria Europea è stata un processo lentissimo, partito dal 1955-57 con i trattati di fondazione della CEE-MEC, ma, nonostante tale lentezza, l’integrazione delle politiche economiche e monetarie degli Stati membri non si avuta. È stata, nella sostanza una unione commerciale soprattutto e dal 2002 monetaria, ma politicamente si è ancora oggi, nel 2011 lontani dal raggiungerla.
Tale situazione ha dato un grandissimo potere al Sistema delle Banche Centrali Europee coordinate dalla Banca Centrale Europea. Questa, di fatto, ha dato gli ordini a tutti gli Stati, l’Euro è diventata la moneta di riferimento del mercato mondiale, molto forte e forse sopravvalutata. I tassi di interesse europei tenuti molto alti fino al 2009, la moneta con una parità rispetto al U.S.Dollaro molto alto, in alcuni momenti quasi doppia.
Il valore dell’Euro ha fortemente frenato e depresso l’economia degli Stati dell’Area Euro, le importazione di beni e servizi è avvantaggiata e le esportazioni limitate. Gli Stati più deboli e basati sul turismo sono stati a lungo svantaggiati in confronti a quelli extraeuropei, la Grecia, la Spagna, l’Italia, l’Islanda ed i paesi dell’est come Ungheria, Romania, Repubblica Ceca, Polonia ecc..
La politica monetaria ed economica europea sostanzialmente è decisa da Germania e Francia, così come hanno sempre avuto un peso notevole nelle scelte e decisioni della CEE e del Parlamento Europeo.
Le scelte basate su modelli di sviluppo tedeschi, quindi con un’economia mista pubblico-privato, scelte di tipo keynesiane ha obbligato gli Stati Europei a bilanci statali in costante deficit.
L’Italia, in particolare, ha mantenuto un sistema politico con una enorme spesa pubblica e con un fortissimo intervento pubblico in economia. Lo Stato e gli Enti Pubblici finanziano il sistema privato in modo sostanziale: attività culturali, artistiche, sportive, teatrali e spesso cinematografiche, attività assistenziali e sociali, attività di beneficienza, scuole e Università, la stampa e le comunicazioni, le istituzioni politiche come i partiti, i sindacati, i patronati, le istituzioni religiose, ecc.. Sono tutte organizzazioni finanziate essenzialmente dallo Stato e da Enti Pubblici e che hanno pochissimi fondi propri o derivanti dai propri sostenitori e sponsor privati.
Ciò ha portato ad un livello di tassazione ed imposizione fiscale molto elevato. Pertanto, i cittadini sono poco indotti a sottoscrivere e finanziare questo tipo di attività, pur usufruendo ampiamente dei servizi offerti da esse.
In Italia si pensa ad eliminare Istituzioni Costituzionali e democraticamente elette come le Provincie, e non ad abolire tutti quegli Istituti pubblici, o sotto il controllo pubblico, e i cui organi di governo non sono democraticamente eletti, ma nominati dalla politica, come le Camere di Commercio, le autorità di Ambito, le Autorità di Bacino, le Aziende di Sviluppo Industriale, le Autorità Portuali ed Aeroportuali, le Prefetture, le sedi periferiche della Banca d’Italia, i consigli di amministrazione dei Parchi Naturali nazionali e regionali, le comunità montane, ecc.ecc. che sottraggono moltissime delle competenze e delle risorse che naturalmente andrebbero attribuite proprio alle Provincie. Per non parlare delle Fondazioni artistiche, teatri, musei, ecc. che benissimo potrebbero essere privatizzate anziché finanziate dalla grande “mammella” della spesa pubblica.
In Toscana, l’ingresso turistico-culturale nelle chiese storiche è consentito con pagamento di un biglietto congruo (minimo €.10,00), allora perché non estendere lo stesso criterio a tutta l’Italia, abrogando quindi i finanziamenti statali con l’8 per mille ed il 5 per mille del gettito IRPEF?
Riducendo l’imposizione fiscale si libererebbero delle risorse nelle tasche dei cittadini i quali sarebbero indotti ad utilizzarle proprio per pagarsi questi servizi che oggi, in gran parte sono finanziati dallo Stato e dagli Enti Pubblici a proprio “libitum” e non a libera scelta del cittadino con erogazioni liberali o con il pagamento di prezzi di mercato per la fruizione dei servizi erogati da queste Istituzioni private.
Discorso analogo vale per i partiti politici ed i sindacati e per i contributi alla editoria. Riducendo l’imposizione fiscale i cittadini avrebbero maggiori risorse da destinare ad erogazioni liberali in favore del proprio partito politico e del proprio sindacato e non in via mediata pagati dallo Stato e dalle Regioni, che però impongono stangate fiscali per recuperare tali risorse, così come al proprio editore preferito e non all’editoria in generale.
Ma il “leviatano” della spesa pubblica si auto-alimenta e cresce continuamente, e la politica la favorisce in quanto genera clientelismo.