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Al movimento dell’espressionismo astratto, di cui Jackson Pollock era l’indiscusso genio, faceva riferimento con tutti i distinguo aperti anche Cy Twombly, dipartito a ottantatre anni qualche giorno fa in un ospedale romano.
Era nato dentro a quella storia, a quel gruppo di pazzi furiosi che erano riusciti non si sa come, ad avvicinarsi alla vera grandezza; stiamo parlando di gente come Jasper Johns, Mark Rothko, Willem de Kooning. Avevano buttato all’aria la rappresentazione realistica, il soggetto, le aspettative di chi si rivolgeva alle opere d’arte; scardinato e fatto piazza pulita di tutte le cose che si conoscevano per guardare un quadro.
Si erano cimentati a sgocciolare e dipingere dentro alle tele un’energia spirituale potente ed irresponsabile, una forza che lasciava attoniti, al punto da inviare lo sfratto alla capitale dell’arte parigina; nuovo domicilio: New York.
Davanti alle grandi tele di Twombly, stabilitosi in Italia sin dal 1957, si resta ancora adesso muti, rapiti e meravigliati: una vera epifania. Anche i prezzi che le sue opere hanno raggiunto lasciano interdetti, cifre sproporzionate fino al grottesco.
Eppure, se vi capiterà di poter passeggiare soli in un museo, avanti e indietro, al cospetto del lavoro del buon vecchio Cy, come nell’ultima grande mostra realizzata presso la Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma nel 2009, vi verrà la stravagante e irreprimibile idea che lì davanti ci sia la possibilità di apprendere qualcosa di vero e indispensabile, servita con amabile e studiata giocosità.
Per trasmettere che cosa possa mai essere l’impenetrabile carezza di sentimento e sensualità, di complessa stratificazione evocativa di molti suoi lavori, ad esempio i Green Paintings, che avevano scorazzato per la Biennale del ’88 o il ciclo dedicato alle stagioni del ‘94, può venire in soccorso una frase rubata a Kurt Vonnegut. La scrive in un libro intitolato Barbablu.
A pronunciarla è il protagonista, un pittore americano esponente dell’espressionismo astratto, frutto della fantasia di Vonnegut, in risposta alla domanda fatale su cosa sia questo tipo di arte.
Recita: “Questo aveva di magico la nostra pittura, la magia consisteva nel fatto che era pura essenza di umana meraviglia, qualcosa di completamente avulso dal cibo, dal sesso, dai vestiti, dalle case, dalle droghe, dalle automobili, dalle notizie d’attualità, dai soldi, dal delitto, dal castigo, dagli sport, dalla guerra, dalla pace… ”
E’ la definizione più precisa, pertinente e poetica che abbia mai trovato.
Dopodiché, per una verifica che accerti quanto merita perdere tempo davanti ad un quadro di Twombly, ecco una piccola panoramica del visibile, aggiornata al presente.
A Torino presso la Galleria d’Arte Moderna, inserito in una mostra collettiva dall’audace titolo “Eroi”, è esposto un quadro del ’61 dedicato a Roma, fatto di olio, smalti, graffiti e carboncino su tela. Oppure a Venezia, in quella meraviglia affacciata sul Canal Grande, che fu la casa di Peggy Guggenheim, è allestita “Ileana Sonnabend. Un ritratto italiano”, raccolta di opere della Sonnabend in cui sono presenti due opere di Twombly: una titolata Sperlonga Drawing, 68,5 X 100,3 cm di emblematica bellezza costruita con tempera, matita e pastello su carta. L’altra, di poco più piccola, è un olio con pastelli e cera del ’56, intitolata Untitled, senza titolo.
A Spoleto il Palazzo Collicola Arti Visive accoglie “Odissea Contemporanea di Valentina Moncada”. La mostra apre con un omaggio a Twombly, nella prima sala campeggia la rarità di un‘opera mai esposta prima; si tratta di una tecnica mista su carta, titolata Roman Notes, del ’70. Anche Roma, alla Gagosian Gallery ricordano l’artista, con una collettiva dove sono presenti coloro che furono i suoi compagni di strada come Rauschenberg, Weiner, Richter e molti altri.
Se non si può viaggiare c’è sempre la finestra del web, la bbc inglese infatti ha preparato un breve ed accurato filmato per tracciarne un profilo; questo il link: http://www.bbc.co.uk/news/entertainment-arts-14055958.